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“Scialla!”: l'incapacità di fare il padre e la “forclusione” di Lacan

di Riccardo Tavani

Sì, a sciallare si scialla, ovvero si sta quieti, tranquilli in questo film, anche troppo. Il tema è certamente importante, quello della incapacità di un’intera società, e non di singoli individui, di assolvere al compito della paternità. Quel buco, quel vuoto strutturale, incolmabile nella psiche umana rispetto alla figura del padre, per il quale Lacan ha coniato il termine forclusione, è anche ben rappresentata dalla figura esistenzialmente auto sedata dell’ex docente Bruno Beltrame, con aspirazioni letterarie ormai sopite.

“Gatto da termosifone” lo chiama Tina, una famosa pornostar slovacca, per la quale Bruno sta scrivendo, come ghostwriter, un libro autobiografico. Scrittore fantasma, docente fantasma si trascina dietro stracche ripetizioni private e ora gli arriva improvvisamente addosso, però, anche la certezza di essere un padre fantasma, e proprio di un ragazzo che è a ripetizione da lui, Luca, al quale non gliene può fregare di meno della scuola.

La madre, che Bruno a stento riconosce come una sua antica e veloce sfiammata, glielo accolla e parte per un lavoro in Africa. Ma quanto “s’accollava” lei con quel figlio unico senza padre! Nel tono generale da commedia, seppure rigata da venature bluastre amarognole, dovrebbe funzionare il contrasto tra la vitalità cotica e informe di Luca e quella catatonica, consunta di Bruno. Tra la lacaniana forclusione del nome del padre nell’uno e vuoto spinto dell’attitudine paterna nell’altro. Qui, però, abbiamo un ragazzo che già di per sé, di fondo, è un bravo ragazzo. Non si fa le canne, tanto meno tira roba bianca, e inoltre si allena scrupolosamente in una palestra di pugilato. C’è solo che il suo indomito spirito d’avventura e la spiccata tendenza a dimostrare la sua superiore intelligenza antiscolastica o “credibilità di strada” lo spingono decisamente a mettersi nei guai. Anche Bruno, da strascinato gattone da termosifone, recupera subito una sua responsabile funzione paterna – e persino quella di docente serio – dalla prima sera che Luca gli arriva in casa al mattino successivo in cui gli prepara la colazione, sebbene con latte scaduto da (appena) cinque giorni. Così il contrasto da una sua bruciante, specifica attualità storica (pensiamo a Il ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dardenne) si stempera in quello più genericamente linguistico-generazionale. E persino il cacciarsi nei guai, anche grossi di Luca, e il saperlo tirare fuori da parte di Bruno, appartiene a una dialettica padre-figlio presente anche in precedenti stagioni cinematografiche della commedia italiana. Anche le cosiddette “trovate”, ovvero rovesciamenti delle consuetudini comuni, sono tipiche del cinema italiano di ogni tempo. Qui abbiamo il giovane e spietato boss dello spaccio di eroina, che non a caso si fa chiamare Poeta, che vuole continuare a studiare, ad accrescere la propria cultura letteraria, cinematografica, artistica e riconosce come un modello da seguire il professor Beltrame. All’opposto Luca, sogna di diventare un malavitoso in grande, mentre potrebbe studiare, avendo a disposizione un così bravo padre insegnante. E mentre Bruno ce la mette tutta per non fargli perdere l’anno, limitando il danno a tre materie, il ragazzo implora i suoi professori di bocciarlo del tutto, perché questo è giusto. Il figlio di un professore e scrittore fantasma può anche fare il cameriere, l’imbianchino, il lavavetri reale. Bocciato e sull’orlo del lavoro giovanile precario (come se ce ne fosse altro) ma con la figura del padre riapparsa. Un finale forse troppo consolatorio, visto che la forclusione lacaniana chiama in causa una voragine sociale e la responsabilità collettiva, politica che vi fa capo, più che quella di un gatto raggomitolato accanto al termosifone.

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