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Memoria e dimenticanza

Intervento completo di Umberto Eco, relazione al convegno del 15/04/2011 tenuto presso l’Accademia dei Lincei a Roma

Buongiorno carissimo presidente, colleghi. Mi riferiscono altri colleghi attendibili che ad un esame del triennio, essendo caduto il discorso non so come e perché, sulla strage alla stazione di Bologna, vista la perplessità dell’esaminando ed essendogli stato domandato se ricordava a chi fosse stata attribuita la strage, colui aveva risposto “ai bersaglieri”. Gli orizzonti della stupidità, essendo illimitati, ci si sarebbe potuti attendere risposte varie che andassero dai brigatisti rossi ai comunisti ai neofascisti ai fondamentalisti arabi o ai figli di satana, ma i bersaglieri erano veramente inattesi sia come dinamitardi in stazione sia proprio la cosa indicava che uno non sapeva neanche chi sono i bersaglieri.

Io azzardo che nella mente dell’infelice si agitasse l’immagine confusa di una breccia scolpita sul muro della stazione per ricordare l’evento e che la visione della breccia abbia fatto corto circuito con un’altra nozione imprecisa, poco più di flatus vocis, concernente la breccia di Porta Pia.

D’altra parte l’esaminando non era probabilmente rappresentativo della media dei suoi consimili e un pipistrello non fa primavera. Tuttavia l’episodio sembra epitomizzare altri esempi del difficile rapporto di moltissimi giovani coi fatti del passato.

Ho letto tempo fa che interrogati su Aldo Moro alcuni lo dicevano capo delle brigate rosse, altri primo presidente della neonata repubblica italiana e via dicendo, dimostrando una completa ignoranza circa cose che pure erano accadute immediatamente prima o immediatamente dopo la loro nascita. Eppure io decenne, nel 1942, sapevo che il primo ministro italiano ai tempi della marcia su Roma era stato, come me lo definiva la scuola fascista, l’imbelle facta e sapevo persino i nomi dei quadrunviri.

Allora sarà che la riforma Gentile era stata più avveduta della riforma Gelmini, ma credo che le ragioni siano altre e siano dovute ad una forma continua di censura che non solo i giovani, ma anche gli adulti stanno subendo circa una gran quantità di notizie specie quelle circa il tempo che fu ed è pur vero, lo avrete letto, che il 17 marzo, interrogati dalle Iene televisive sul perché quella data fosse stata scelta per celebrare i 150 anni dell’Unità, molti parlamentare, compreso un governatore di regione, hanno dato le risposte più strampalate:dalle cinque giornate di Milano alla presa di Roma.

Ho detto censura, ma come si può parlare di censura nel periodo in cui, pare, Wikilex insegni che nessuna notizia può più sfuggire al controllo della collettività, e che neppure le dittature possono celare le loro manovre e i loro problemi.

Il fatto è che esistono due forme di censura: una per sottrazione e una per moltiplicazione o eccesso.

E’ indiscutibile che per impedire che qualcosa venga detto e ascoltato ci sono due vie: o impedire che venga appunto detto o creare rumore nel momento in cui viene detto, rendendolo impercettibile.

Per impedire che un’informazione venga percepita come rilevante basta negarla in un contesto di informazioni irrilevanti.

Tornando al nostro studente che accusava i bersaglieri dell’attentato bolognese, dobbiamo dire che le sue nozioni circa gli eventi passati erano imprecise perché nessuno gli aveva dato la possibilità di averne notizia o perché erano state confuse e seppellite nel contesto di troppe altre notizie circa il presente.

Ed ecco perché oggi, a difesa dei diritti e dei meriti della memoria, vorrei intrattenermi anche sui diritti e i meriti della dimenticanza, come molla essenziale per la vita di una cultura così come per la nostra vita personale. Cioè il tema che vorrei svolgere è quello della cultura nel senso antropologico del termine come sistema per ridurre l’eccesso dell’informazione, tema dell’apparenza paradossale perché si ritiene ingenuamente che la cultura di una civiltà, di un’epoca, di una comunità sia invece un sistema per conservare le informazioni, informazioni che si perdono se quella cultura crolla o sparisce.

Occorre naturalmente partire dal duplice significato della nozione di informazione ,che a volte viene

In senso tecnico, ci rifacciamo alla teoria matematica dell’informazione, secondo cui l’informazione è una proprietà statistica della fonte e definisce, per esempio, tutto quello che potrebbe essere elaborato con la combinazione delle ventisei lettere dell’alfabeto; l’informazione quindi deriva da una misura di probabilità all’interno di un sistema equiprobabile.

Una volta, però, che tra tutte le probabilità consentite dalle ventisei lettere dell’alfabeto viene elaborata una frase specifica, entriamo nell’altro significato di informazione e ci occupiamo di quello che si chiama il messaggio, cioè un significato che può essere trasmesso e comunicato.

Ed è chiaro che oggi parleremo di informazioni in quest’ultimo senso, come trasmissione di dati di qualche interesse collettivo.

All’ interno di questo significato di senso comune, un’altra distinzione che dobbiamo fare è quella tra messaggio e canale. Per discutere della situazione attuale dell’informazione dobbiamo considerare due fattori: l’organizzazione dei canali rispetto al passato e il numero, non la qualità o il contenuto che in questa sede non interessano, dei messaggi trasmissibili.

Per quanto riguarda i canali, da almeno due secoli e cioè dall’invenzione del telegrafo, stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione, oggi sappiamo bene che in pochi secondi possiamo mandare un messaggio a Sidney e ricevere risposta. E se un tempo disponevamo solo di segnali di fumo, immagini o messaggi alfabetici manoscritti, oggi infiniti sono i canali mediante i quali facciamo passare informazione: dalla radio alla televisione, dall’e-mail al telefonino per non dire di internet e così via.

Pertanto il numero dei messaggi circolanti tende a crescere in forma esponenziale. Questo flusso ininterrotto ci aiuta.

Voi sapete che ormai lo specialista di una disciplina non è in grado di seguire tutto quello che viene prodotto nel suo settore. Ma pensiamo anche soltanto alle bibliografie. Quando preparavo la tesi, formare una bibliografia voleva dire, in passato, passare molti giorni in biblioteca, cercare e segnare a penna i volumi che si trovavano e alla fine di un grosso lavoro, aver messo insieme, quando si era bravi e andava bene, cento titoli. Oggi con internet lo studente schiaccia un bottone e trova diecimila titoli di bibliografie.

Qual è il problema? Primo, che se li fa vedere al professore, a quello viene un infarto perché tutti quei titoli non li conosceva nemmeno lui e si incrina il rapporto di fiducia tra docente e discente, secondo, che lo studente non solo non può leggere i diecimila libri, ma neanche i diecimila titoli della bibliografia, ed avere un numero tanto elevato di titoli equivale a non averne nessuno.

Il problema non è solo legato all’abbondanza delle informazioni, ma anche alla possibilità di selezionare la loro attendibilità.

Una volta ho fatto un esperimento ed ho cercato un tema su cui, non essendo uno specialista, però presumevo di saper qualche cosa, ho digitato la parola graal e in un motore di ricerca ho analizzato i primi settanta siti segnalati. Sessantotto di questi erano puro ciarpame: materiale neonazista o pubblicitario. Uno era credibile ma conteneva una semplice descrizione dell’enciclopedia di tipo Garzantina, uno conteneva un piccolo saggio preciso ma privo di particolare interesse e originalità.

Mi chiedo come possa fare uno studente a decidere quale tra questi siti gli desse un’informazione attendibile.

Ma la stessa cosa è successa quando ho cercato la parola olocausto; immediatamente ho individuato alcuni siti di chiara ispirazione nazista, negazionista ma sullo sfondo non c’era una svastica e quindi se certe posizioni sono bene camuffate e persino hanno “.edu “ , che sembra siano fatte da un’università, diventa molto difficile per una persona normale capire o scegliere.

D’altra parte ho potuto scegliere su graal, ma non avrei potuto scegliere su teorie delle stringhe o cose del genere.

Io ricevo quotidianamente, come immagino tutti voi, decine e decine di libri che non potrò mai leggere e per questo ho elaborato delle tecniche di decimazione. Alcune si basano semplicemente su criteri statistici, se un libro è banale ritroverò le stesse idee nel decimo volume pubblicato su quel dato argomento e se è geniale, ugualmente ritroverò le stesse idee, diventate patrimonio comune, nel decimo libro sull’argomento. Quindi basta leggere solo un libro su dieci.

Altri criteri sono più sofisticati, per esempio si basano sull’esame dell’indice, della bibliografia e così via. Queste tecniche dovrebbero essere insegnate fin dalle scuole elementari, occorrerebbe aggiungere la D di decimazione alle famose tre I di internet inglese e impresa.

Una volta al centro cattolico cinematografico compilavo una lista dei film per tutti, di quelli per adulti e di quelli esclusi. Il buon cattolico si fidava di questa informazione e si comportava di conseguenza. Oggi non è possibile ipotizzare un ente capace di monitorizzare dal punto di vista dell’attendibilità tutti i siti che si occupano di tutte le discipline. Anche perché i contenuti cambiano in continuazione, e quindi non è possibile analizzarli in modo sistematico e aggiornato.

Decimazione, filtraggio, selezione. Come vedete, il problema dell’abbondanza di informazione ci allontana dall’utopia della cultura come conservazione e ci espone al problema più drammatico della cultura come dimenticanza.

Il nostro studente che attribuiva l’attentato di Bologna ai bersaglieri non era forse qualcuno a cui era stato detto troppo poco ma qualcuno a cui era stato detto troppo e che non era più in grado di selezionare ciò che valeva la pena di ricordare. Aveva subito una censura per eccesso di rumore.

La cultura, intesa come memoria storica come insieme di sapere condiviso su cui si regge il gruppo e le società umane, non è solo un accumulo di dati ,è il risultato del loro filtraggio. E’ la capacità di buttar via ciò che non è utile e necessario. La storia della cultura delle civiltà è fatta di tonnellate di informazioni che sono state seppellite. Talora abbiamo giudicato questo processo un danno e ci sono voluti secoli per riprendere il discorso interrotto.

I greci non sapevano quasi più niente della matematica egizia, il medioevo avrà dimenticato tutta la scienza greca. In un certo senso però questo è servito alle diverse culture per ringiovanire partendo da zero e poi recuperare gradualmente ciò che era stato, per così dire, ibernato.

Alcune informazioni sono andate perdute: non sappiamo più a cosa servissero le statue dell’isola di Pasqua e moltissime delle tragedie citate da Aristotele nella Poetica non ci sono pervenute.

Questo discorso non vale solo per le culture ma anche per la nostra vita. Jorge Luis Borges aveva scritto la nota e bellissima novella Funes el memorioso su un personaggio che ricorda tutto: ogni foglia che ha visto in ogni albero, ogni parola che ha udito nel corso della sua vita, ogni refolo di vento che ha avvertito, ogni sapore che ha assaporato, ogni frase che ha letto. Per questo Funes è un completo idiota, un uomo bloccato dalla sua incapacità di selezionare e buttar via.

Il nostro inconscio funziona perché butta via.

Poi se c’è qualche inghippo si va dallo psicanalista per recuperare quel poco che serviva e che per sbaglio abbiamo buttato via, ma tutto il resto per fortuna è stato eliminato e la nostra anima è esattamente il prodotto della continuità di questa memoria selezionata.

Se avessimo avuto l’anima di Funes o se l’avessimo saremmo persone senz’anima.

E’ pur vero che è persona senza anima pure quella che ha perduto la memoria. Se non ci fosse la memoria, forse avrebbe senso la beatitudine eterna perché si smemorerebbe nella visione beatifica, ma certo non avrebbe senso l’inferno dove, perché le pene ci facciano davvero male, dobbiamo ricordare ciò che abbiamo fatto in vita per evitarle, altrimenti non saremmo altro che un grumo di sensazioni sgradevoli come una mosca a cui strappassero le ali per l’eternità.

Ma l’anima come memoria non è fatta di tutto ciò che ricordiamo, è fatta anche di ciò che abbiamo dimenticato, proprio perché noi non siamo tutte le sensazioni che abbiamo avuto dalla nascita alla morte ma solo quelle che hanno acquistato significato per la nostra crescita individuale.

Ora il world wild web è Funes el memorioso, anche se ogni tanto si rinnova e butta via qualcosa.

La nuova biblioteca di Alessandria d’Egitto aveva iniziato a raccogliere su videocassette tutto ciò che appariva su internet, comprese le informazioni che successivamente venivano eliminate. Non so se si sono fermati ormai, ma questa raccolta al massimo della sua potenzialità sarà peggio di internet perché avrà tutti i contenuti che ha oggi internet insieme a quelli che sono stati filtrati con il tempo.

Voi mi direte che internet è un grande fenomeno democratico che permette di ricevere tutti i tipi di informazioni, di scegliere in modo libero, ed ho presente l’impatto che internet ha avuto, per esempio, sulla società cinese, specie quella giovanile, per non parlare oggi della funzione che ha esercitato e sta esercitando sui moti dell’Africa del nord e del Medioriente.

Mi sembra però di poter fare per internet, un discorso simile a quello fatto più volte a proposito della televisione. Ho sempre detto che la televisione fa bene ai poveri e male ai ricchi, mentre internet fa bene ai ricchi e male ai poveri. Intendendo per ricchi e poveri non persone divise dal censo ma dall’istruzione.

Cioè, per le immense parti del mondo meno sviluppato l’abbondanza di informazioni date dalla televisione, è certamente motore di sviluppo democratico, ma non è così per i paesi più sviluppati.

Tale abbondanza è infatti un fattore molto democratico quando arrivi in una dittatura, ma sconvolge un corpo irrigiditosi di idee obbligatorie in una dittatura, ma può avere dei risvolti dittatoriali quando è presente in un sistema democratico.

La televisione ha insegnato a parlare italiano a chi non lo parlava bene, quindi ha fatto bene ai poveri; ma ha insegnato a parlare un pessimo italiano a chi già lo parlava bene, e ha fatto male ai ricchi. Diverso è internet, io sono ricco so usare internet, il povero viene ucciso.

Come totalità di contenuti disponibili in modo disordinato non filtrato e non organizzato, internet permetterebbe a ciascuno di costruirsi una propria enciclopedia, il proprio libero sistema o non sistema di credenze, nozioni e valori in cui potrebbero essere compresenti, come accade nella testa di molti esseri umani, sia l’idea che l’acqua è H2O, sia l’idea che il sole giri intorno alla terra.

In teoria si può quindi arrivare all’esistenza di 6 miliardi di enciclopedie differenti, e questa non sarebbe un’acquisizione democratica, perché la funzione di un’enciclopedia è proprio quella di stabilire, non solo cosa va osservato e cosa va buttato via, ma una base di confronto che possa avvenire sulla base di un discorso comune, di una serie di nozioni comuni.

Affermando che Tolomeo aveva torto e Galileo ragione, l’enciclopedia esclude quei letterati folli che ancora oggi scrivono volumi per dimostrare che la terra è quadrata, e ce ne sono ancora regolarmente pubblicati.

Ma per rovesciare un paradigma è necessario che ci sia un paradigma da rovesciare. Se non ci fosse stata la teoria tolemaica, Copernico non avrebbe potuto sviluppare il suo sistema cercando di contestarla ed essendo capito da coloro ai quali si rivolgeva. Pertanto la cultura può scegliere di conservare anche memoria delle opinioni erronee ascrivendole un patrimonio storico con cui confrontarsi.

In ogni caso le nuove idee possono essere costruite solo partendo da un’enciclopedia il più possibile condivisa. Con 6miliardi di enciclopedie una diversa dall’altra, ogni comunicazione sarebbe impossibile.

Se l’idea di 6 miliardi di enciclopedie diverse paia realistica, e per fortuna lo è perché c’è un’omeostasi, un controllo della comunità in fin dei conti, vi faccio comunque un piccolo esempio di come la possibilità di combinare infinite informazioni può condurci a situazioni totalmente oniriche se non disponiamo di un criterio di scelta.

Esiste un motore di ricerca all’indirizzo www.bahn.de che contiene tutti i dati sulle connessioni ferroviarie europee. Anni fa mi sono appassionato a questo programma e l’ho utilizzato in modo disinteressato, cercando di verificare quante combinazioni potevo produrre, ho cominciato a chiedere come andare da Francoforte a Battipaglia e la soluzione è stata soddisfacente perché a seconda delle coincidenze occorrevano dalle 18 alle 20 ore.

A questo punto ho domandato come andare da Londra a Grosseto via Napoli. Il primo itinerario prende 29 ore ed è banale, il secondo riesce a metterci 34 ore, ma solo perché incappa in uno spostamento tra due stazioni parigine, il terzo è superbo, 26 ore ma sono costretto a fermarmi a Bardonecchia, Alessandria, Nervi, Viareggio, passo per Grosseto all’una di notte ma non mi fermo, arrivo a Napoli Campi Flegrei, risalgo per Roma Ostiense e ritorno a Grosseto circa nove ore dopo. Questo è già più che eccitante, dovrei portarmi dietro da leggere e un termos e poi chissà.

Ma ho voluto tentare l’impossibile: ho chiesto Battipaglia –Roscoff via Madrid. Da Battipaglia Sciamberi via Milano, poi Parigi, Madrid, Puatiè, Notr, Ren, Morlè e Roscoff. 66 ore di delizioso vagabondare.

Altrettanto appassionante è stato Madrid-Roma via Varsavia, qui i nomi di queste stazioni da storiella yiddish mi hanno fatto sognare…Vienna est, Vienna sud ed infine come in un lampo Roma Termini.

Se era per divertirmi avevo scoperto la mia droga, come da piccolo immaginavo esplorazioni avventurose sopra l’atlante tenuto sotto il banco nell’ora di matematica, ora non avrei avuto che da inseguire suoni magici e percorrere valichi e pianure senza fermarmi più. Per stare notti e notti davanti al computer avrei dovuto fornirmi di liquori forti, pipe, magari narghilè, vesti impellicciate, forse avrei potuto essere anche testimone di un assassinio sull'Oriente Express. Avrei trovato, mi domandavo, tra una stazione e l'altra la madonna degli Sleeping Cars, esangue con le narici frementi, le labbra rosse con una ferita mentre suggeva con voluttà sottili sigarette russe.

Poi son tornato alla realtà, l'esperienza era molto affascinante dal punto di vista estetico, ma per chi avesse voluto andare da Battipaglia a Vitebsk ci dovrebbe essere un solo percorso possibile ispirato a criteri di rapidità e di economicità. Dovrei recuperare un filtraggio mirato dell'informazione disponibile, ed ecco la differenza tra informazione in senso cibernetico e nel senso semantico che delineavo all'inizio.

La struttura della rete ferroviaria mi consente un'informazione massimale e pertanto infiniti o indefiniti percorsi, ma l'informazione di cui ho bisogno che ragionevolmente posso condividere con altri miei simili è quella per cui, onde reagire alle vertigini permesse dal sistema, che mi elenca tutte le opzioni possibili, io posso elaborare criteri di selezione.

Il terrore dell'eccesso di informazione non è solo tipico del nostro tempo. Il problema della necessità di dimenticare nasce nello stesso periodo in cui dall'antichità classica si elaborano le mnemotecniche onde ricordare il massimo numero di informazioni possibili.

Così nasceva, quasi insieme ai progetti di arte memorandi, il sogno di un ars oblivionalis, di un'arte della dimenticanza.

Tutti conosciamo le mnemotecniche, cioè le tecniche elaborate da Simonide per tutto il sedicesimo secolo, tecnica fondamentale per gli studiosi, che a differenza di noi non disponevano del registratore o del computer. Ma già Cicerone, nel De Oratore citava il caso di Temistocle, dotato di memoria straordinaria, a cui qualcuno propone di apprendere un ars memorandi e Temistocle gli risponde che costui gli avrebbe fatto opera gradita se gli avesse insegnato a dimenticare più che a ricordare, perché per lui era preferibile dimenticare ciò che non voleva ricordare anziché conservare quanto avesse una volta udito o veduto.

Certamente il terrore dell'eccesso si moltiplica con l'invenzione della stampa che non solo mette a disposizione un'enorme quantità di materiale testuale, ma ne rende più facile l'accesso a chiunque.

Filippo Gesualdo, vissuto a cavallo tra il sedicesimo e diciassettesimo secolo, nella sua Plutosofia, ci ricorda appunto che accanto alle tecniche per ricordare esistono quelle per dimenticare.

Nella lettione 20 della Plutosofia si passano in rassegna i metodi per l'oblivione. Gesualdo esclude le soluzioni mitiche come bere l'acqua del Lete, anche perché sa già che Johannes Spangerberg nel suo Libellus Artificiosae Memoriae ricordava che si dimentica per corruzione, e cioè per dimenticanza delle specie passate, per diminuzione, vecchiezza e malattia, o per ablazione di organi cerebrali.

Parimenti è ovvio che si può dimenticare per ubriachezza, droga, ma in tutti questi casi si tratta di accadimenti naturali che sono studiati in altra sede.

Gesualdo vuole invece elaborare un'altra arte della dimenticanza che abbia le stesse caratteristiche delle arti della memoria. Siccome era tipico delle arti della memoria immaginare un grande palazzo con stanze e scaloni in cui apparivano immagini mostruose a ciascuna delle quali era associata un'idea da ricordare, Gesualdo consiglia di figurarsi di peregrinare per quei palazzi in una tenebra densissima in cui non si possono vedere le immagini, di figurarsi quelle stanze vacue e nude di immagini, di figurarsi quelle immagini cancellate come vi si fosse spalmata sopra una mano di gesso o immaginando sopra i luoghi tende bianche o lenzuoli verdi o panni neri.

E poi proponeva di pensare nel palazzo nuove figure che sostituissero le antiche e di immaginarsi, così come un chiodo scaccia l'altro,e immaginarsi una gran tempesta di venti, di grandini, di polveri di rovine di case, di luoghi ,di templi, di inondazioni d'acqua che confonde ogni cosa, e poi se questo noioso pensiero è replicato ancora più volte all'ultimo si faccia con la mente una passeggiata per i luoghi immaginando un tempo chiaro quiete tranquillo, come rivedere i luoghi nudi e vacui e come prima furon formati.

E infine si sarebbe dovuto pensare a uomini mico, orribile e spaventoso il quale con una comitiva di compagni armati entri e passi con impeto per i luoghi con flagelli bastoni ed armi scacci i simulacri, percuota le persone, fracassi le immagini, faccia fuggire per le porte e saltar per le finestre tutti gli animali e persone mobili che erano nei luoghi.

Non si sa se poi Gesualdo sia diventato pazzo come, diceva Grippa, di altri cultori della memoria, né se qualcuno abbia messo in opera i suoi artifici, ma è lecito sospettare che tutti questi artifici permettessero non di dimenticare qualcosa ma di ricordarlo meglio ancora. Così come avviene agli amanti che si sforzano di cancellare l'immagine di chi li ha abbandonati e lo o la ricordano sempre meglio.

Non può esistere un'arte volontaria della dimenticanza e se noi le culture dimentichiamo è sempre per fattori quasi sempre accidentali.

Ho detto che se leggiamo la Poetica di Aristotele vi ritroviamo menzionate tante tragedie di cui non ricordiamo nulla, come mai quelle tragedie e i nomi dei loro autori non sono sopravvissuti, mentre sono sopravvissuti Sofocle Eschilo ed Euripide? Un'ipotesi ingenua è che fossero i migliori,ma i migliori secondo quali criteri? Ci sono stati motivi accidentali per cui i greci hanno preferito quei tre ad altri? Ci sono state censure? erano ammanicati coi coreghi? Ci sono stati episodi di corruzione?

Per motivi non del tutto evidenti la cultura ha agito da filtro, così come la nostra memoria individuale lascia cadere ricordi inutili o infortuni. Ma se non fosse accaduto così noi saremmo sopraffatti da tante tragedie per cui sarebbe difficile, in assenza di altri criteri di filtraggio, decidere quali rappresentare e quali no. In fondo anche la nozione di canone ha questa funzione: dobbiamo decidere se a scuola si insegna Shakespeare o Marlowe, Alfieri o Della Valle, Ariosto o Folengo, Leibniz o Wolf, il trattato sugli animali di Condiac o quello di Buscion che sosteneva che gli animali erano demoni che scontavano in terra per la loro perfidia.

Quello che definiremmo il complesso di Temistocle ritorna varie volte nel corso della storia della cultura, ed una delle manifestazioni più drammatiche è sicuramente la seconda considerazione inattuale di Nietzsche sull'utilità e il danno degli studi storici per la vita.

Il testo si apre proprio con una dichiarazione che sembra essere una delle fonti del Funes di Borges: ma sia nella massima sia nella minima felicità è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa felicità, il poter dimenticare o, con espressione più dotta, la capacità di sentire mentre es dura in modo non storico, chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dell'attimo dimenticando tutte le cose passate, chi non è capace di star ritto su un punto senza vertigine e paura come una dea della vittoria, non saprà mai che cosa sia la felicità e, ancor peggio, non farà mai qualcosa che renda felici gli altri.

Immaginate un esempio estremo, un uomo che non possedesse appunto la forza di dimenticare, che fosse condannato a vedere dappertutto un divenire, un uomo simile non crederebbe più al suo stesso essere, non crederebbe più a sé, vedrebbe scorrere l'una dall'altra tutte le cose in punti e mossi e si perderebbe in questo fiume del divenire e alla fine, da vero discepolo di Eraclito,non oserebbe più alzare un dito, e questo è Funes.

Per ogni agire ci vuole oblio, come per la vita di ogni essere organico ci vuole non soltanto luce ma anche oscurità. Un uomo che volesse sentire sempre e solo storicamente sarebbe simile a colui che venisse costretto ad astenersi dal sonno o all'animale che dovesse vivere solo ruminando e sempre per ripetuta ruminazione.

Dunque è possibile vivere quasi senza ricordo, anzi vivere felicemente come mostra l'animale, ma è assolutamente impossibile vivere in generale senza oblio ovvero, per spiegarmi su questo tema ancor semplicemente, c'è un grado di insonnia di ruminazione di senso storico in cui l'essere vivente riceve danno e infine perisce, si tratti poi di un uomo, di un popolo e di una civiltà.

Ma per fortuna aveva torto altrimenti non ci ricorderemmo che c'è stato Nitche che ha scritto queste parole.

Di qui, per Nitche, l'analisi del danno dell'eccesso di studi storici, che opprimono a tal punto di vista la memoria di una cultura da renderla inadatta alla vita e l'appello ai giovani affinchè elaborino un'arte della dimenticanza.

Uno degli elementi di interesse di questo testo è che esso dopo queste dichiarazioni che sembrano essere riferite alla necessità di sopravvivenza di un individuo, sposta il discorso a una necessità di un oblio sistematico per le culture.

Questo spostamento è di importanza capitale, perché se è stata dimostrata l'impossibilità di dimenticare volontariamente quello che la memoria individuale ha registrato, le culture si presentano proprio come dispositivi che non soltanto servono a conservare e a tramandare le informazioni, ma anche a cancellare l'informazione eccedente.

A quasi un secolo e mezzo di distanza dal testo nitchiano la riflessione sulla dimenticanza culturale si è moltiplicata, e senza rilanciare l'allarme citato di Nitche appare ora normale il processo di cancellazione continuamente operato da una cultura per sopravvivere.

Sono esempi di processi di dimenticanza le enciclopedie specializzate, che costantemente spungono le idee ritenute erronee e procedono per aggiornamento, ma altrettanto e più accade con l'enciclopedia media di una data cultura. Per enciclopedia media intendo l'insieme delle enciclopedie vere e proprie, come la Britannico, la Treccani, più i libri cosiddetti di testo che trasmettono in fase scolastica gli elementi fondamentali dei vari saperi.

L'enciclopedia media ci garantisce il ricordo dei grandi fatti storici o dei principi della fisica, ma lascia cadere un'infinità di informazioni che la collettività ha rimosso.

Per esempio, l'enciclopedia media ci dice tutto quanto sulla morte di Giulio Cesare a nulla di quello che ha fatto la sua vedova Calpurnia negli anni successivi e non crediate si tratti di maschilismo, perché l'enciclopedia dopo la morte di Shumann ci ricorda tutto quello che ha fatto Clara Shumann da vedova, anche perché ne ha fatte un po' di cotte e di crude.

L'enciclopedia ci fornisce dettagli preziosi sull'andamento della battaglia di Waterloo ma per fortuna non ci dice il nome di tutti coloro che vi hanno partecipato.

Si tratta di dimenticanze utilissime per non sovraccaricare oltre il sostenibile la memoria collettiva, senza peraltro che molti dei fatti filtrati o taciuti diventino irrecuperabili, in quanto esistono persone specializzate, come gli storici o gli archeologi, che talora sono in grado di riportarli alla luce.

E allora la memoria collettiva si riappropria di quei dati inserendoli nell'enciclopedia media e talora decide di lasciarli in qualche riserva specializzata.

La dimenticanza filtraggio operata dall'enciclopedia media, non dipende né dalla volontà di un singolo né da un atto cosciente di volontà collettiva, si stabilisce per una sorta di inerzia, talora persino per cause naturali, come la cancellazione di tutto ciò che concerneva Atlantide, se mai è esistita.

Il problema del filtraggio operato da un'enciclopedia media era persino presente tra gli enciclopedisti medioevali, anche se per tradizione ci paiono voracemente tesi a divorare tutto quello che la tradizione aveva loro tramandato

Vincenzo di Beauvais nel Libellum Apologeticum, che fa da introduzione al suo Speculum Maius, è spaventato di fronte al moltiplicarsi della scienza, e così decide di fare della sua enciclopedia un florilegio, vale a dire una scelta delle migliori sue letture. Che la sua scelta non vada immune dal sospetto di censura ci è dato della citazione che egli fa del decreto dello pseudo Gelasio De libris recipiendis et non recipiendis, dove però pare che lì non abbia cassato le fonti disapprovate, ma solo le ha citate dichiarando che erano disapprovate. Un bel colpo di onestà scientifica. E si è dimostrato che molti testi sopravvivono ancora, se non altro come titolo, solo perché sono entrati nello Speculum Maius.

La cultura dunque non fa altro che selezionare i dati della propria memoria, naturalmente non è detto che lo faccia sempre con saggezza e per motivi giustificabili. Stalin cancellava dalle foto storiche i compagni che aveva mandato a morte, il Grande Fratello di Orwell correggeva ogni mattina il Times e ho letto di recente che nelle scuole inglesi si vorrebbe abolire l'insegnamento delle Crociate per non offendere la sensibilità degli scolari musulmani.

Sono casi in cui una cultura, rimuovendo qualcosa che ci sarebbe stato utile, aggiunge ai danni della memoria anche quelli della dimenticanza.

Come uscire da questa rischiosa contraddizione? Come evitare che per filtrare si corra il rischio che ha corso senza volerlo il Medioevo, di dimenticare per dieci secoli Platone, tranne il Timeo?

Filologicamente più avveduta della cultura del passato, la cultura contemporanea ha elaborato l'idea di una latenza del sapere.

Non è che le informazioni eccedenti, oggetto di enciclopedie specializzate, e perfino quelle eccedenti rispetto un'enciclopedia specializzata come per esempio la storia delle idee astronomiche trovate false vengono dimenticate, esse vengono poste in latenza, vengono, per così dire, surgelate e basta che l'esperto le vada a prelevare e le metta nel forno a microonde ed esse si riattualizzano, almeno ai fini della comprensione di un dato contesto.

Questa latenza è rappresentata in fondo dal modello della libreria o dell'archivio persino del museo come contenitore di un sapere sempre attualizzabile anche se per caso nessuno lo stia attualizzando o se si è smesso di attualizzarlo da secoli.

In tal senso l'enciclopedia riinvia porzioni sempre più vaste di sapere in un gioco di rimandi che è stato definito come virtuale.

Come sfondo ecco l'enciclopedia veramente virtuale, quella che definisco come enciclopedia massimale, che ha caratteristiche di virtualità, non solo perché non sappiamo mai dove si arresti, ma anche perché contiene potenzialmente anche quello che di fatto oggi non contiene più.

Si è detto che l'enciclopedia media non ricordi i nomi di tutti coloro che hanno partecipato alla battaglia di Waterloo. Cosa accadrebbe se uno studente o uno studioso volesse ora ricostruire questa lista avendola trovata negli archivi del ammiragliato britannico o cose del genere.

Ammettiamo che venga in possesso di un testo simile all'elenco dei mille garibaldini che troviamo all'inizio di certe edizioni di Giuseppe Cesare Abba, che ora si trova anche su Wikipedia. Questo studioso farebbe ricorso a porzioni dimenticate, rimosse dall'enciclopedia media, ma che appartengono pur sempre all'enciclopedia massimale.

Ma a quale enciclopedia appartengono i testi delle tragedie che Aristotele cita, ma noi abbiamo perduto? Per ora fa parte dell'enciclopedia media o di un'enciclopedia specializzata solo la notizia che Aristotele ha accertato il mero titolo di queste opere. Se un giorno, così come è avvenuto per i manoscritti di Nag Hammadi, si reperissero alcuni di questi testi in una giara,risulterebbe che essi facevano parte dell'enciclopedia massimale, anche se nessuno prima di allora avrebbe potuto asserirlo e che da quel momento faranno parte di una o più enciclopedie specialistiche.

Ma cosa accadrebbe se invece essi non venissero mai reperiti e continuassimo a conoscerli solo attraverso i loro titoli? Per il fatto stesso che ci sono buone ragioni per credere che siano esistiti, continueremmo a pensare che essi potrebbero far parte dell'enciclopedia massimale, anche se per ora ne fanno parte solo in modo virtuale ottativo, ovvero ne fanno parte ma solo nel mondo possibile in cui sono stati reperiti o facevano parte dell'enciclopedia media dei tempi di Aristotele.

Quindi l'enciclopedia massimale, se il termine con cui la stiamo designando lascia pensare a qualcosa cuius nihil maius cogitari possit, di fatto è una struttura virtualmente a fisarmonica che un giorno potrebbe allargarsi più di quanto oggi non appaia, il che non è piccolo incoraggiamento ad una ricerca progressiva.

In conclusione se le culture sopravvivono è anche perché attraverso i loro testi fondatori hanno saputo alleggerirsi ponendo in latenza tante nozioni, garantendo ai propri membri una sorta di vaccinazione dalla vertigine del labirinto e dal complesso di Temistocle Funes.

Ma per le stesse ragioni le culture hanno spesso costruito testi che servivano a far dimenticare nozioni o principi essenziali e si potrebbero analizzare le varie culture considerando quei testi che hanno contribuito a cancellare una serie di nozioni dalla sua enciclopedia media è stata la polemica rigoristica di tanti padri della chiesa che ha fatto cadere nel dimenticatoio testi della cultura pagana che il rinascimento ha poi riscoperto, ironia dei processi di cancellazione, in quelle librerie monastiche in cui erano stati ibernati.

Conosciamo le tecniche di quelle che possiamo chiamare la dimenticanza indotta a fini di dominio, dalla censura vera e propria, abrasione di manoscritti, rogo di libri, damnatio memoriae, falsificazione delle fonti documentarie, negazionismo, insieme ai fenomeni di oblio per pudore, inerzia, rimorso, sino a quei procedimenti in atto nelle scienze esatte dove si decide che non solo le idee provate errate, ma persino gli sforzi e i procedimenti messi in opera vengono espulsi perché dall'enciclopedia specializzata di quella scienza perché inutili, e ormai in certi settori disciplinari si arriva a non prendere in considerazione ogni contributo pubblicato prima degli ultimi cinque anni.

E d'altra parte questo avviene persino nelle scienze umane, almeno aldilà dell'oceano, perché ho letto venti anni fa un libro americano in cui si sviluppava un certo ragionamento e si rimandava alla nota piè di pagina “pare che di questo argomento si fosse dedicato a fondo Kant. cfr Brown 1991”. L'autore aveva in bibliografia solo Brawn, perché Kant apparteneva ad una bibliografia scaduta.

Per reagire a questi eccessi di dimenticanza, le culture devono pertanto alleggerire la nostra memoria attraverso versioni ridotte dell'enciclopedia, ma al tempo stesso devono garantire la recuperabilità di ciò che è stato cancellato attraverso i propri archivi, dove le informazioni per ora inutili restano in latenza.

Che le culture alleggeriscano le proprie enciclopedie è fenomeno fisiologico e positivo, ma a patto che si possa sempre recuperare quello che esse hanno posto in latenza. Per questo l'idea regolativa di enciclopedia massimale è ausilio potente per l' Advancement of Learning

Torniamo al nostro infelice ragazzo che accusava i bersaglieri della strage di Bologna.

Nell'immenso ammasso di notizie rilevante di cui è sommerso quotidianamente attraverso la tv, internet, facebook, twetter, gli sms attraverso cui gli amici gli comunicano che di avergli appena inviato un'email, la pubblicità ed infiniti altri processi da appelli consumistici, il nostro soggetto è divenuto incapace di isolare le notizie essenziali, tende a dimenticare ciò che dovrebbe ricordare, e a confondere tra loro notizie di cui gli sfugge ormai la portata, può ricordare ciò che non gli serve.

Qualcuno dovrà insegnargli una nuova arte della memoria e della dimenticanza. Non solo, ma dovremmo insinuargli nella mente che una volta dimenticato il dimenticabile e filtrato il filtrabile, potrebbe scoprire anche il gusto del ritrovamento dell'esplorazione dei repositori della latenza.

Come ottenere questo risultato e se debba ottenerlo ancora la scuola o qualche altro tipo di istituzione, spero che ve lo dica prossimamente qualcun altro in una prossima conferenza. Provando e riprovando forse ci arriveremo.

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