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Contro i giornalisti, ecco la maggioranza del rancore

di Antonio Mango

Và dove ti porta il cuore. E il cuore di 131 senatori ha pulsato segretamente per il carcere. Un anno di detenzione per i giornalisti colpevoli di diffamazione a mezzo stampa. In alternativa la pena pecuniaria di 50mila euro. Questo l’ennesimo disegno di legge, riscritto dall’ennesimo emendamento, proposto dall’ennesima Lega in libera uscita, spalleggiata dall’ennesimo Rutelli che fa la faccia feroce. In pratica –dice anche il capo dell’Api- nessun giornalista entrerebbe mai in cella, ma basta il principio. Anzi, basta la parola. Battaglia semantica che nasconde e divide due modi di intendere la civiltà. Carcere o non carcere? Non è questione del quantum, ma della res (pubblica) ovvero del cosa e del se. Se la galera può essere mai concepita per un reato di diffamazione a mezzo stampa o se, piuttosto, occorre fornire alla vittima tutte le garanzie di recupero dell’onorabilità e comminare al diffamante la giusta pena, ma senza indurre la categoria dei giornalisti all’autocensura.

Storia infinita quella del ddl “salvasallusti” o “legge-bavaglio” o “legge-manette”. Bastava un articolo per togliere di mezzo il carcere. Invece, in un paese barocco come il nostro, si è scelta la strada di costruire una cattedrale, con pilastri, fregi e grandiosità varie. Per giunta in un periodo di strane maggioranze e guerricciole di quartiere. L’ultimo tentativo, firmato in commissione giustizia dal presidente Filippo Berselli e affondato in Aula da Lega, Api e trasversali, ha fatto dire a Vincenzo Vita (Pd) “adesso basta, il caso è chiuso” e a Giuseppe Giulietti (portavoce di Articolo 21) “vista la maggioranza del rancore, occorre affossare il testo”.

Ricapitoliamo per grandi linee: la commissione giustizia del Senato sforna un secolo fa un testo by-partisan (superfluo accennare al contenuto), che in Aula viene bersagliato da siluri sotto forma di emendamenti; si approva il peggio e, visto l’andazzo sconfortante, si ritorna con una “strana” procedura in commissione (pure per ciò che era stato già votato); si media di nuovo e si crede, all’interno della presunta maggioranza, di blindare il nuovo testo; si ritorna in Aula e spuntano il voto segreto e l’emendamento Lega, votato anche da Api e anonimi senatori fino a quota 131 di favorevoli, 94 contrari e 20 astenuti. Tutto in alto mare di nuovo, con la pseudo-maggioranza che decide di farla finita (“affossiamo, tanto è inutile”) e quelli come Gasparri che propongono un nuovo bagno di sangue, travestito da patetico tentativo di scansare dalle pene almeno il direttore responsabile.

Ma questo è solo un succinto riepilogo di una commedia che ha visto come protagonisti alte cariche dello Stato, capigruppo di partito e capipartito senza vergogna tipo Maroni col suo “Mai un giornalista in galera”, detto poche ore dopo l’emendamento Lega che introduceva la galera.

Il contenuto della battaglia, invece, è il vero piatto principesco, servito sulla tavola della cultura democratica nazionale. Per essere anche qui succinti, in attesa dei nuovi colpi di scena o del nulla, si trattava, col nuovo testo Berselli, di ripulire il ddl monstre delle cose più vergognose: ovviamente il carcere, poi la censura libri, l’ammazza-blog e l’interdizione dalla professione. Al loro posto, oltre al “no” alla pena detentiva, la rettifica immediata, gratuita, integrale e senza commenti anche per web e tv e, in caso appunto di adesione a tale prescrizione, lo sconto di due terzi della pena pecuniaria.

Tutto da rifare ancora una volta, con una casta incazzata che vuole vendicarsi, un Senato che s’incarta, Sallusti in pena e deciso a fare la Giovanna D’Arco della categoria, e l’informazione in balia delle peggiori scorrerie del partito della censura.

“Sono un politico che ama le libertà”. Questa la stupefacente frase pronunciata in tv da Francesco Rutelli durante uno dei soliti talk del mattino. “Voglio difendere l’onore e i diritti di chi è ingiustamente infangato”. E di sera, in un altro show, propone di depenalizzare l’omesso controllo del direttore, quando l’articolo è firmato da uno pseudonimo o non è firmato. Altra stramberia. Aridatece l’editto bulgaro. (Si fa per dire).

Antonio Mango

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