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Cidade de Deus, la favela dei destini incrociati

Giovedi a Roma, al Caffè Letterario di Montesacro, il “romanzo criminale” della Cidade de Deus, il film brasiliano di Fernando Mereilles che suscitò grande scalpore a Cannes nel 2002.

Cidade de Deus, sarà riproposto giovedì 28 maggio alle ore 20.15 a Roma, nei locali del Caffè Letterario “Liberthè” presso la Domus Città Giardino, in Viale Adriatico, 20, nel cuore del quartiere Montesacro, dall'Associazione Culturale “Ponte Tazio”, promotrice della rassegna ospitata dal “Cineforum del giovedì”. Dopo la consueta introduzione di Andrea Usiello, curatore della rassegna, a presentare il film da lui stesso scelto sarà Ugo G. Caruso, storico del cinema, da sempre appassionato tra l'altro di cultura brasiliana, che quale ospite della serata, si tratterrà con il pubblico anche dopo la proiezione, nella parte dedicata al convivio, durante il piacevole rinfresco che avrà luogo sulla terrazza della Domus Città Giardino.

Romanzo (criminale) di formazione, Cidade de Deus che Fernando Meirelles ha tratto dall’omonimo romanzo di Paulo Lins (in Italia edito da Einaudi,  adattato per lo schermo da Braulio Mantovani con l'aiuto regista Katia Lund e prodotto da Walter Salles), si ispira a vicende reali raccontando attraverso la storia di tre ragazzi l’evolversi  di un quartiere popolare di Rio de Janeiro sorto come modello all’inizio degli anni ’60 fino a diventare una delle più infernali favelas nell’arco di poco più di un decennio e palcoscenico delle vite parallele di Buscapé e Dadinho. Entrambi tredicenni, sono però mossi da ambizioni diversissime: il primo vorrebbe diventare fotografo, il secondo diverrà il più temuto criminale della città. Se Buscapé trova molti ostacoli nella realizzazione dei propri sogni, Dadinho diventa rapidamente padrone del quartiere e del narcotraffico con lo pseudonimo di Zè Pequeno.

Diviso in tre capitoli identificabili con i tre decenni in cui si sviluppa la vicenda - gli anni Sessanta, gli anni Settanta e gli anni Ottanta - ciascuno dei quali contiene decine di storie, il film presenta un continuo cambiamento di riprese, di colori, di emozioni: si parte dal giallo ocra che tinteggia gli anni ’60 con la luce del sole che si staglia sulle case e sul terreno polveroso all’epoca della costruzione della favela e dei primi sintomi di devianza rappresentati dal “Trio tenerezza”, novelli Robin Hood dei poveri. Poi si passa agli anni settanta, psichedelici e rabbiosi, dove sono arrivati soltanto i più violenti (Zè Pequeno) e i loro amici (Benè), a capo di feroci baby-gang, dominatori incontrastati del mercato della droga. Qui la mdp si fa più mobile con fuori quadro, fuori fuoco, accelerazioni, dove tra colori saturi domina un blu acido a sottolineare la fase della sete di potere personale di Zé Pequeno. Per arrivare infine all’inizio degli anni ’80 filmati nuovamente con taglio classico, quando lo scontro tra bande per il dominio dei territori è diventato una vera e propria guerra e anche il mite ed onesto tranviere Manè Galinha (interpretato  dal celebre cantautore Seu Jorge) diventa uno spietato assassino per vendicarsi delle angherie subite.

Pure il soundtrack passando dalla Bossa Nova ai “dancin’days” attraverso la disco-samba e il rock tropicalista scandisce con il cambio di ritmo l’alternarsi di epoche diverse. A raccontare le cento storie è l’obiettivo di Buscapè, che all’inizio del film ha undici anni: prima è il suo semplice sguardo, poi una macchina fotografica implacabile e impietosa… Vivendo nella favela, la sua strada si incrocia costantemente con quella dei boss o dei “randagi” (i bambini abbandonati del Brasile). Seppure contornato e provocato dalla violenza, il ragazzo riuscirà a restare pulito. Forse anche per caso, ma più per una scelta personale che è quella di non cadere nella vendetta, nell’emulazione, nel mito dell’eroe negativo. Il vero, fondamentale senso della storia raccontata dal film è proprio questo: a meno che non sia tardi, perché troppo invischiati nelle trame della delinquenza, anche nelle favelas si può resistere alla tentazione di diventare un fuorilegge. L’amore per una donna, la vitalità, la creatività saranno motivo di speranza e di riscatto.

Cidade de Deus è anche un potente film di denuncia ma che non rinuncia a massicce dosi di ironia. Alla 76° edizione degli Oscar nel 2004, l’Academy gli preferì spudoratamente il terzo ed ultimo episodio de Il Signore degli Anelli. E se mai vi fosse stato bisogno di conferma del suo perbenismo gli negò tutte e quattro le  nomination, rispettivamente per regia, sceneggiatura non originale, fotografia e montaggio.

Lodevole struttura ad incastri e flashback, magnifico approccio corale, divisione in capitoli, split screen, alto tasso di sociologia, tragedia greca, violenza stemperata nell’ironia, geniale scrittura fra disgusto e attrattiva drammaturgica.  Come dice la voce fuori campo: “Se scappi sei fottuto. Se non lo fai, pure”. E' quindi, come avrai compreso, un film da rivedere o da recuperare assolutamente. Non mancare!