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Fonti numero 10 "Sensi vietati"

Sex crimes and Vatican
Video trasmesso in Inghilterra il 1 ottobre 2006. In Italia non è mai andato in onda, nè i giornali nè gli altri mezzi di informazione vi hanno fatto accenno:
http://www.bispensiero.it/index.php?option=com_content&task=view&id=201&...

CASO LEVADA
Nel 2006, in una deposizione in tribunale, l'ex arcivescovo di Portland William Levada, ora cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ha difeso la sua scelto di reintegrare un prete accusato di abusi e di non aver detto nulla ai suoi parocchiani.
Levada - ora una delle piu' alte cariche di curia - fu arcivescovo di Portland dal 1986 al 1995. Nel 2006 fu chiamato in tribunale a testimoniare in un processo per abusi sessuali che coinvolgeva la sua chiesa. In una trascrizione della sua testimonianza si legge che in quell'occasione Levada rivendico' e giustifico' la scelta di riassegnare i suoi incarichi pastorali a un sacerdote che, sospettato di aver abusato di ragazzini, era stato sottoposto a terapia. Levada disse anche di non aver ritenuto opportuno informare i fedeli della vicenda.

ROMA - La Santa Sede e' stata informata 20 anni dopo i fatti. Padre Lombardi, portavoce del Vaticano, precisa in merito alla notizia comparsa sull'edizione on line del New York Times secondo cui il cardinale Joseph Ratzinger, attuale Papa Benedetto XVI e il cardinale Tarcisio Bertone, attuale segretario di Stato Vaticano, occultarono un caso di pedofilia negli Stati Uniti, che riguardava un prete accusato di aver molestato almeno 200 bambini sordi, avvenuto in una scuola del Wisconsin. Lo riporta il New York Times on line.

Padre Murphy, deceduto nel 1998, aveva lavorato nella scuola per ragazzi sordi dal 1950 al 1977. Nel 1996, scrive il New York Times, il cardinale Ratzinger, allora capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, non rispose a due lettere inviategli dall'arcivescovo di Milwaukee, Rembert Weakland, mentre otto mesi più tardi il suo numero due, il cardinale Tarcisio Bertone, che oggi è il segretario di stato Vaticano, istruì i vescovi del Wisconsin di avviare un processo canonico segreto che avrebbe potuto portare all'allontanamento di padre Murphy.

Questo processo fu fermato dallo stesso cardinale Bertone dopo che Padre Murphy scrisse al cardinale Ratzinger sostenendo che non doveva essere processato in quanto si era già pentito e che era in precarie condizioni di salute. Nel dossier, ottenuto dal New York Times, non c'é traccia di una eventuale riposta di Ratzinger. Padre Murphy non ricevette mai punizioni, ma fu trasferito in segreto in varie parrocchie.

PADRE LOMBARDI: NORME CHIESA NON PROIBISCONO DENUNCE  - Le norme della Chiesa non hanno "mai proibito la denuncia degli abusi sui minori alle autorità giudiziarie", afferma padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, in una nota sul caso di padre Murphy, il sacerdote dell'arcidiocesi di Milwaukee i cui abusi sessuali su bambini, secondo il New York Times, sarebbero stati taciuti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, diretta dall'allora cardinale Joseph Ratzinger.

"La Congregazione per la Dottrina della Fede non fu informata dei fatti fino a venti anni dopo" che gli abusi compiuti da padre Lawrence Murphy erano stati già trattati dalle autorità civili, precisa ancora Padre Lombardi.

A 'salvare' il sacerdote dalla punizione - spiega il portavoce vaticano - furono la sua salute precaria e la mancanza di nuove accuse nei suoi confronti.

Padre Murphy, è detto in un comunicato di Padre Lombardi citato dal New York Times, ha certamente abusato di bambini "particolarmente vulnerabili" e violato la legge. Si tratta di "un caso tragico", ha aggiunto. Lombardi ha però sottolineato che il Vaticano è stato messo a conoscenza del caso solo nel 1996, anni dopo la fine delle indagini.

Sui motivi per i quali padre Murphy non sia mai stato punito riducendolo allo stato laicale, il portavoce ha risposto che "il diritto canonico non prevede punizioni automatiche". Ha quindi aggiunto che la precaria salute di padre Murphy e la mancanza di nuove accuse nei suoi confronti sono stati elementi determinanti nella decisione. Padre Murphy è morto nel 1998, due anni dopo che il Vaticano venne a conoscenza del caso.

SI' DEL PAPA A DIMISSIONI EX SEGRETARIO WOJTYLA - Papa Ratzinger ha accolto le dimissioni di mons. John Magee, vescovo di Cloyne, in Irlanda, coinvolto in un' inchiesta su presunti casi di pedofilia. Il presule aveva presentato le sue dimissioni all'inizio di marzo 2009. Magee, in passato, era stato segretario privato di Paolo VI e Giovanni Paolo II. La notizia dell'accettazione delle dimissioni di Magee da parte del Papa è stata annunciata ufficialmente dalla sala stampa vaticana in una nota, in cui si precisa che la rinuncia al governo pastorale avviene "in conformità al can.401 paragrafo 2" del Codice di diritto canonico, una formula che, di norma, esclude motivi di routine. Magee, dal 1987 vescovo di Cloyne, nel sud dell'Irlanda, aveva offerto le sue dimissioni circa un anno fa, dopo essersi trovato al centro di uno scandalo scoppiato nella sua diocesi su presunti abusi sessuali su minori da parte di alcuni sacerdoti. Un caso sul quale le autorità ecclesiastiche avevano aperto gli occhi da tempo, e che non rientra tra quelli considerati dai più noti rapporti, Ryan e Murphy, sulla pedofilia all'interno degli istituti religiosi irlandesi. Il vescovo di Cloyne era stato chiamato in causa da un "Comitato nazionale per la salvaguardia dei bambini" che lo aveva accusato di non aver adottato alcuna sanzione ecclesiastica contro alcuni sacerdoti di cui era stata accertata la colpevolezza. Di fatto, non esercitava più il suo ministero da quando aveva presentato le dimissioni, avendo chiesto già in precedenza al Papa la nomina di un amministratore apostolico, al quale aveva fatto seguito, quasi subito, la nomina di un vicario. Altri quattro vescovi hanno presentato le loro dimissioni dopo l'esplosione dello scandalo pedofilia in Irlanda. Il Papa però ha finora accettato solo quelle di Magee e di Donald Brendan Murray, vescovo di Limerick.

CARD. BRADY: PENSO A VITTIME - Il primate d'Irlanda, card. Sean Brady, saputo dell'accoglimento delle dimissioni del vescovo John Magee, gli ha assicurato le sue preghiere, precisando che, tuttavia, "in cima ai miei pensieri in questi giorni ci sono quelli che hanno sofferto abusi da parte dei sacerdoti". "Desidero riconoscere il lungo e diversificato ministero del vescovo Magee nella Chiesa - ha affermato in una nota -. Lo ringrazio per il suo contributo al lavoro della Conferenza episcopale irlandese negli ultimi venti anni, soprattutto nel campo della liturgia. Gli assicuro le mie preghiere in questo momento, e gli auguro una pensione in buona salute". "Tuttavia - ha aggiunto Brady - in cima ai miei pensieri in questi giorni ci sono quanti hanno sofferto abusi da parte di sacerdoti e quanti oggi provano rabbia e sconforto per la risposta inadeguata data dalle autorità ecclesiastiche". La notizia delle accolte dimissioni di Magee era stata diffusa, oltre che dalla sala stampa vaticana, anche dalla Conferenza episcopale irlandese, in una sua nota.

MAGEE: SCUSE A VITTIME, A DISPOSIZIONE GIUSTIZIA - L'ex vescovo irlandese di Cloyne, John Magee, ha chiesto perdono alle vittime degli abusi da parte di sacerdoti commessi nella sua diocesi ammettendo le sue responsabilità nell'averne coperto i misfatti, dicendosi a disposizione della Commissione d'inchiesta. "Sono stato informato dell'accettazione delle mie dimissioni - afferma in una nota diffusa dalla sala stampa vaticana - e, andandomene, voglio offrire ancora una volta le mie sincere scuse ad ogni persona abusata da un sacerdote della diocesi di Cloyne durante il mio ministero, e in ogni tempo". "Ovviamente - aggiunge Magee - rimarrò a disposizione della Commissione investigativa in ogni momento". Nella nota Magee chiarisce di essersi da tempo autosospeso dall'incarico di vescovo di Cloyne, rassegnando formali dimissioni il 9 marzo scorso. "Come dissi alla vigilia di Natale del 2008, dopo la pubblicazione del rapporto del "Comitato nazionale per la salvaguardia dei bambini nella Chiesa cattolica in Irlanda, ho assunto piena responsabilità delle critiche mosse alla nostra gestione dei casi che vi erano contenute". "Nel Marzo del 2009 - prosegue Magee - la Santa Sede ha nominato rev.Dermot Clifford amministratore apostolico della diocesi di Cloyne. Ciò in risposta ad una richiesta da me avanzata di essere sollevato dall'incarico di amministrare la diocesi, in modo da potermi concentrare nella cooperazione con la Commissione governativa d'inchiesta, allo scopo di avviare procedure di protezione nella diocesi nella mia veste di vescovo di Cloyne". Oltre a ribadire la sua richiesta di perdono alle vittime e a "tutti quelli nei confronti dei quali ho mancato in qualunque modo", Magee auspica che "il lavoro e gli accertamenti della Commissione d'inchiesta siano di qualche aiuto per quanti sono stati abusati". "Sono lieto che le mie dimissioni siano state accettate - conclude la nota - e ringrazio i sacerdoti, i religiosi e i fedeli della diocesi che mi hanno supportato durante il mio incarico di vescovo di Cloyne, assicurando loro le mie preghiere".

NUOVA ACCUSA PER PADRE PETER HULLERMANN IN GERMANIA  - E' emersa una nuova accusa a carico di Peter Hullermann, il prete pedofilo che papa Ratzinger, quando era arcivescovo, aveva accettato di far curare nella propria diocesi di Monaco di Baviera nel 1980 ma che poi era stato anche impiegato pericolosamente in attività pastorali per dichiarata colpa del suo vicario, Gerhard Gruber, e poi trasferito dal successore dell'attuale pontefice. Lo ha reso noto oggi l'arcivescovado di Monaco di Baviera e Frisinga precisando che "il presunto abuso sarebbe avvenuto nel 1998, quando "il prete H." era amministratore parrocchiale a Garching/Alz, sempre in Baviera. "Il caso non è caduto in prescrizione e la presunta vittima era all'epoca minorenne", informa un comunicato, annunciando che l'informazione è stata trasmessa alla Procura e ricordando che il religioso è stato già sospeso. L'arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga dell'epoca, il cardinale Friedrich Wetter, si è assunto la responsabilità di aver messo in contatto con bambini e ragazzi il prete pedofilo Peter Hullermann nonostante questi fosse stato già condannato per abusi sessuali su minori. Lo sottolinea oggi un giornale locale di Monaco la Tz citando una dichiarazione diffusa ieri dall'alto prelato. "La violazione di bambini e ragazzi con abusi sessuali mi fa male. Mi carica di un gravissimo peso", ha dichiarato Wetter chiedendo "scusa in ogni forma" possibile alle vittime e loro familiari. "Ho sopravvalutato la capacità di un essere umano di realizzare un cambiamento di personalità e ho sottovalutato le difficoltà del trattamento terapeutico richiesto per un pedofilo". Il cardinale, nella stessa dichiarazione, nega di aver avuto "indizi concreti" di abusi pedofili commessi da un ormai defunto funzionario dell'Ordinariato vescovile Heinz Maritz, come invece sostenuto in una "lettera anonima indirizzata a diverse redazioni" giornalistiche.
Da www.italianosdargentina.com.ar

Da www.ilmessaggero.it - 24 marzo) - Il tema degli abusi sessuali su minori approda al consiglio dei ministri tedesco con un piano d'azione omnicomprensivo non solo per gestire i numerosi casi emersi negli ambienti della Chiesa cattolica, ma per far fronte a un problema che interessa tutta la società.

La questione è stata inserita all'ordine del giorno della riunione settimanale del gabinetto Merkel. Obiettivo della cancelliera è dire ai cittadini la verità indipendentemente dagli ambienti in sui sono stati commessi gli abusi. Il piano vuole anche avviare un dibattito istituzionale sulla prevenzione, i risarcimenti ed i termini di prescrizione del reato. Il governo dovrebbe nominare un “delegato indipendente” che si dovrà occupare di questi casi, sia fuori che dentro la Chiesa. In particolare, il delegato dovrà anche fornire raccomandazioni all'esecutivo sul modo migliore per aiutare le vittime degli abusi. Parallelamente a questa iniziativa, il governo avvierà una tavola rotonda interministeriale il 23 aprile prossimo alla quale parteciperà anche la Chiesa tedesca, per gettare le basi del dibattito ed individuare le principali linee guida.

È emersa una nuova accusa a carico di Peter Hullermann, il prete pedofilo che papa Ratzinger, quando era arcivescovo, aveva accettato di far curare nella propria diocesi di Monaco di Baviera nel 1980 ma che poi era stato anche impiegato pericolosamente in attività pastorali per dichiarata colpa del suo vicario, Gerhard Gruber, e poi trasferito dal successore dell'attuale pontefice. Lo ha reso noto oggi l'arcivescovado di Monaco di Baviera e Frisinga precisando che «il presunto abuso sarebbe avvenuto nel 1998, quando «il prete H. era amministratore parrocchiale a Garching/Alz, sempre in Baviera. Il caso non è caduto in prescrizione e la presunta vittima era all'epoca minorenne», informa un comunicato, annunciando che l'informazione è stata trasmessa alla Procura e ricordando che il religioso è stato già sospeso.

Papa Ratzinger ha accolto oggi le dimissioni di mons.John Magee, vescovo di Cloyne, in Irlanda, coinvolto nell'inchiesta sulla pedofilia. Il presule aveva presentato le sue dimissioni all'inizio di marzo. Magee, in passato, era stato segretario privato di Paolo VI e Giovanni Paolo II. L'ex vescovo di Cloyne ha chiesto perdono alle vittime degli abusi da parte di sacerdoti commessi nella sua diocesi ammettendo le sue responsabilità nell'averne coperto i misfatti, dicendosi a disposizione della Commissione d'inchiesta. «Sono stato informato dell'accettazione delle mie dimissioni - afferma in una nota diffusa dalla sala stampa vaticana - e, andandomene, voglio offrire ancora una volta le mie sincere scuse ad ogni persona abusata da un sacerdote della diocesi di Cloyne durante il mio ministero, e in ogni tempo». «Ovviamente - aggiunge Magee - rimarrò a disposizione della Commissione investigativa in ogni momento».

Mea culpa del cardinal Wetter. L'arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga dell'epoca, il cardinale Friedrich Wetter, si è assunto la responsabilità di aver messo in contatto con bambini e ragazzi il prete pedofilo Peter Hullermann nonostante questi fosse stato già condannato per abusi sessuali su minori. Lo sottolinea oggi un giornale locale di Monaco la Tz citando una dichiarazione diffusa ieri dall'alto prelato. «La violazione di bambini e ragazzi con abusi sessuali mi fa male. Mi carica di un gravissimo peso», ha dichiarato Wetter chiedendo «scusa in ogni forma» possibile alle vittime e loro familiari. «Ho sopravvalutato la capacità di un essere umano di realizzare un cambiamento di personalità e ho sottovalutato le difficoltà del trattamento terapeutico richiesto per un pedofilo». Il cardinale, nella stessa dichiarazione, nega di aver avuto «indizi concreti» di abusi pedofili commessi da un ormai defunto funzionario dell'Ordinariato vescovile Heinz Maritz, come invece sostenuto in una «lettera anonima indirizzata a diverse redazioni» giornalistiche.

Intanto non si fermano le accuse verso il pontefice. Un professore di teologia tedesco, nonchè prete sospeso dal sacerdozio, Gotthold Hasenhuettl, ha accusato papa Benedetto XVI di essere il «principale responsabile dell'insabbiamento» degli abusi sessuali su minori commessi negli ambienti cattolici. Lo scrive il quotidiano Saarbruecker Zeitung. Hasenhuettl insegna teologia a Saarbruecken (Sud) ed è stato sospeso dal sacerdozio nel 2003 per avere celebrato una messa secondo il rito cattolico in una chiesa protestante di Berlino. Parlando con un giornalista del quotidiano, Hasenhuettl ha detto che l'allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001 - nella sua veste di prefetto della Congregazione della fede - aveva inviato una lettera a tutti i vescovi minacciando pene ecclesiastiche per chi avesse reso pubblici casi di abusi sessuali negli ambienti della Chiesa. Il teologo ha inoltre criticato la scelta della Conferenza episcopale tedesca di nominare il vescovo di Treviri, Stephan Ackermann, principale investigatore sui casi di abuso sessuale nelle istituzioni cattoliche in Germania.

Hans Kung: Papa Benedetto XVI ha tenuto nascoste in passato importanti informazioni sui casi di abusi sessuali su minori nella Chiesa. L'accusa arriva dall'82enne teologo riformista svizzero, che già la settimana scorsa aveva esortato il Pontefice a fare mea culpa: «Non c'era nessun altro uomo, in tutta la Chiesa cattolica, che sapeva così tanto sui casi di abusi sessuali - ha detto Kung a un'emittente televisiva svizzera - e certamente ex officio, in virtù della sua carica». Il riferimento, ha precisato l'ufficio di Kung, è a una lettera del 18 maggio 2001 inviata dall'allora cardinale Joseph Ratzinger - nella sua veste di presidente della Congregazione per la dottrina della fede - ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica. Nella missiva, ha spiegato il teologo, agli alti prelati veniva chiesto di passare a Ratzinger tutte le informazioni sui casi di abusi sessuali. Quindi, il Papa «non può solo puntare il dito contro i vescovi», ha commentato il teologo sottolineando che «lo stesso» Benedetto XVI «ha dato le istruzioni quando era capo Congregazione della fede e di nuovo come Papa».

da www.repubblica.it – 3 aprile 2010
Le rivelazioni dell'Ap sul prete di Tucson. Secondo alcuni documenti ottenuti dell'Associated Press, la chiesa avrebbe aspettato oltre dodici anni per sconsacrare un prete americano dell'Arizona riconosciuto colpevole di abusi sessuali su minori, nonostante sin dai primi anni Novanta l'allora vescovo di Tucson, Manuel Moreno, avesse segnalato il caso al cardinale Joseph Ratzinger, all'epoca a capo della Congregazione per la dottrina della fede. Anche se il processo canonico ha avuto tempi lunghi il sacerdote incriminato era stato sospeso a divinis e non poteva più nuocere, replica il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, per il quale il caso trattato oggi dai media Usa "è fuorviante".

Il caso di padre Teta. Le molestie di padre Michael Teta ai bambini che confessava nella sua parrocchia erano cominciate negli anni Settanta ma solo molti anni dopo il prete era finito sotto inchiesta ed era stato rimosso dal vescovo Manuel Moreno dal suo ministero. Ma la richiesta di rimuovere totalmente Teta dai ranghi della chiesa, giunta a Ratzinger nel 1992, era rimasta inevasa per dodici anni nonostante le ripetute richieste inviate al Vaticano dal vescovo Moreno che giudicava "satanico" il comportamento del prete nei confronti dei minorenni.

Secondo i documenti in mano all'Ap, forniti dal legale di due delle vittime degli abusi, un tribunale ecclesiastico nel 1990 accertò che nel 1978 il sacerdote Michael Teta aveva abusato di due bambini di sette e nove anni che preparavano la prima comunione, dopo il suo arrivo nella diocesi di Tucson, in Arizona. Il cardinale Ratzinger, informato della vicenda, l'8 giugno del 1992 scrisse al vescovo Moreno assicurandogli che si sarebbe occupato del caso. Cinque anni dopo, il 28 aprile del 1997, Moreno riprese la penna. "Il caso è iniziato sette anni fa - scriveva il vescovo - La prego di assistermi in ogni modo che potrà per accelerare le procedure". Passarono però altri sette anni prima che Teta fosse sconsacrato e smettesse di essere prete.

Il vescovo Manuel Moreno: per anni chiese la rimozione del sacerdote pedofilo in Arizona

La replica del Vaticano. Immediata la risposta del Vaticano che attraverso il suo portavoce, padro Federico Lombardi, afferma che la presentazione del caso Teta "è fuorviante". "Dalla documentazione - dichiara Lombardi - risulta infatti con chiarezza e certezza che i responsabili della Congregazione per la dottrina della fede si sono più volte interessati attivamente nel corso degli anni Novanta perché il processo canonico in corso nella diocesi di Tucson fosse portato a termine debitamente, ciò che avvenne nel 1997, con sentenza di riduzione allo stato laicale". Padre Lombardi ricorda che sul caso di padre Michael Teta il vescovo di Tucson, monsignor Gerald Kicanas, aveva già risposto "con precisione" alle domande della stampa locale. "Il reverendo Teta - precisa ancora il direttore della sala stampa vaticana - presentò però appello contro la sentenza e il suo ricorso pervenne al tribunale della Congregazione quando era stata già avviata la revisione delle norme canoniche precedentemente in vigore. Gli appelli rimasero perciò pendenti fino all'entrata in vigore della nuova legislazione nel 2001" quando "tutti gli appelli pendenti furono tempestivamente trattati, e quello del caso Teta fu uno dei primi a essere discusso. Ciò richiese del tempo, anche perché la documentazione prodotta era particolarmente voluminosa".

Un altro caso in Arizona. La Associated Press conferma che nel 2001 fu proprio Ratzinger a ordinare che tutti i casi passassero attraverso la Congregazione per la dottrina della fede. E cita il caso di Robert Trupia, sempre in Arizona. Anche di lui si occupò il vescovo Moreno ritenendolo colpevole di abusi e lo sospese nel 1992, chiedendo che fosse sconsacrato; i documenti che riguardavano il caso però dovettero essere inviati alla Congregazione per il clero e alla Segnatura apostolica. Moreno scrisse alla Congregazione per il clero, secondo l'Ap: "Abbiamo la prova di reati contro persone che erano affidate a lui", ritenendo che Trupia potesse essere "fonte di scandali maggiori in futuro". Il caso approdò nell'ufficio di Ratzinger. Il 10 febbraio 2003, Moreno scrisse all'allora cardinale; il giorno prima un giornale locale aveva pubblicato un articolo su Trupia che guidava una Mercedes e viveva in un condominio vicino Baltimora. Moreno scrisse che Trupia era "un enorme fattore di rischio per i bambini e gli adolescenti che potrebbero entrare in contatto con lui". Non si sa se Ratzinger rispose. Moreno si ammalò di Parkinson e di cancro alla prostata; papa Giovanni Paolo II approvò il suo pensionamento anticipato. Su Trupia però Moreno scrisse ancora in Vaticano e del caso si occuò anche il suo successore, il vescovo Gerald Kicanas. Trupia fu sconsacrato nell'agosto del 2004.

Osservatore romano: "Attacchi contro il Papa". "Una propaganda grossolana contro il Papa e contro i cattolici". Così il quotidiano della Santa Sede titola un articolo in cui raccoglie unanimi dichiarazioni di sostegno dei vescovi di tutto il mondo "vicini a Benedetto XVI, bersaglio di un'ignobile operazione diffamatoria". Il giornale vaticano riporta con particolare enfasi passaggi dell'omelia pronunciata dall'arcivescovo di Parigi, cardinal Andrè Vingt-Trois, per la messa crismale celebrata a Notre Dame. Il porporato denunciava una "offensiva" dei media "che mira a destabilizzare il Papa, e attraverso lui la Chiesa". Ma messaggi di solidarietà - aggiunge l'Osservatore romano - "arrivano da tutto il mondo" dopo "gli attacchi calunniosi e la campagna diffamatoria costruita attorno al dramma degli abusi sessuali commessi da sacerdoti". "Molti vescovi - aggiunge il quotidiano - stanno esprimendo al Papa la loro vicinanza anche per l'azione risoluta a favore della verità e per le misure assunte per prevenire il possibile ripetersi di tali crimini. Accanto ai messaggi dalla Chiesa giunge anche la dolorosa ammissione delle colpe del passato, a dimostrazione che nessun tentativo intimidatorio potrà comunque distogliere dal dovere di fare chiarezza".

Il Vaticano avverte: nessun insabbiamento quando Ratzinger presiedeva la Congregazione per la dottrina della fede. Ma i conti non tornano
di Federico Tulli
Parola d’ordine: difendere il papa, a tutti i costi. L’accusa è di quelle che possono far vacillare anche le fondamenta del più longevo (e potente) Stato del mondo. Avendo presieduto per oltre 20 anni, fino al 2005, la Congregazione per la dottrina della fede (l’istituzione vaticana che ha il compito di indagare sui «delitti più gravi contro la morale», compreso quello «contro il sesto comandamento commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età»), l’allora cardinale Joseph Ratzinger non poteva non sapere cosa accadeva nelle diocesi travolte oggi dagli scandali delle violenze pedofile commesse da religiosi in mezza Europa per tutta la seconda metà del secolo scorso. La voce critica si è levata da più parti insieme al dilagare di notizie sugli abusi che si sono verificati negli istituti cattolici in Irlanda, Germania, Olanda, Austria, Svizzera, Italia. Casi raramente documentati dalla stampa e che ora, faticosamente, stanno venendo alla luce in tutta la loro inaudita gravità, evidenziando un fenomeno dalle dimensioni impressionanti per diffusione e “durata”. Dopo un primo tentativo di minimizzare la portata dell’azione criminale, con un’intervista sull’Avvenire a monsignor Charles J. Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede, sono scesi in campo le punte di sfondamento. Così, se il pubblico ministero del dicastero vaticano ha parlato di soli 300 casi di «vera e propria» pedofilia trattati dal 2001 al 2009, l’arcivescovo Rino Fisichella è andato dritto al sodo: «Coinvolgere il Papa e l’intera Chiesa è una violenza ulteriore e un segno di inciviltà.
L’accanimento contro il pontefice, in particolare, è insensato: parlano per lui tutta la sua storia, la sua vita, i suoi scritti. Ciò che disse negli Usa, due anni fa, è stato di una chiarezza cristallina come ciò che dirà all’Irlanda». Così ha precisato il 15 marzo in un’intervista al Corsera il presidente della pontificia Accademia per la vita, al quale ha dato manforte il giorno dopo monsignor Camillo Ruini. «Non si può ignorare il tentativo tenace e accanito di tirare in ballo la persona del Papa, nonostante tutti i puntuali chiarimenti della sala stampa vaticana e di altre fonti attendibili», ha tuonato dalle pagine del Foglio il vicario generale emerito del papa per la città di Roma. È verissimo, a febbraio Benedetto XVI ha riconosciuto e condannato pubblicamente la responsabilità dei vescovi irlandesi. Ed è pur vero che durante il viaggio pastorale del 2008 oltreoceano il papa inaugurò la linea della “tolleranza zero”. Ma è altrettanto noto che in quegli stessi giorni Bernard Law, l’ex arcivescovo di Boston costretto alle dimissioni per aver coperto gli scandali pedofili nella West coast, pregava indisturbato a Roma, in Santa Maria Maggiore. Mentre un suo collega, Francis George, che sapeva dell’esistenza di accuse contro padre Daniel McCormack, senza mai aver fatto nulla, dopo quel viaggio fu “promosso” a presidente della Conferenza episcopale statunitense. Quanto alla questione irlandese, come scrive l’anonimo autore de Il peccato nascosto (Nutrimenti), appena uscito in libreria, nella sola diocesi di Dublino, sono stati 46 i sacerdoti che dal 1975 al 2004 hanno fatto 320 vittime. «In questo arco di tempo si sono succeduti quattro vescovi. Nessuno di loro fino alla fine degli anni 80 ha mai condiviso la consapevolezza degli abusi sui bambini con la polizia irlandese». E poi ancora, prosegue l’anonimo citando il rapporto della commissione governativa: «La cura e l’assistenza nei confronti dei minori, che avrebbero dovuto essere la priorità assoluta, non sono state tenute in alcuna considerazione. Invece, ogni impegno è stato profuso nel mettere a tacere lo scandalo e nel proteggere il nome, i beni e la credibilità dell’istituzione». Un vincolo di segretezza «pontificio» imposto dal Crimen sollicitationis del 1962. E ribadito nel 2001 dal De delicti gravioribus, firmato su mandato di Giovanni Paolo II da Ratzinger e dall’arcivescovo Tarcisio Bertone, in cui la Congregazione per la dottrina della fede, ribadiva che le cause relative ai «delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale» (tra cui gli abusi su minori) «sono soggette al segreto pontificio». A causa di quella firma nel gennaio 2005, il tribunale di Houston citò Ratzinger a comparire in una causa civile che vedeva la diocesi locale accusata di “coprire” un prete colpevole di pedofilia. Pochi mesi dopo, da capo di Stato, Benedetto XVI avanzò domanda formale d’immunità al presidente degli Stati Uniti. La richiesta fu accolta da George W. Bush a settembre dello stesso anno. Dai difensori del papa nessun accenno, mai, a questa vicenda. Segreto “cardinalizio”? 
19 marzo 2010

Preti & prede

Il Vaticano non riesce più a nascondere le violenze pedofile commesse da prelati e suore. In Italia almeno ottanta i sacerdoti incriminati. E don Di Noto avverte: attenzione ai seminari minorili
di Federico Tulli
La vita umana va difesa sempre, dall’inizio del concepimento fino alla conclusione naturale». Sono le parole pronunciate il 13 febbraio scorso da Benedetto XVI di fronte all’assemblea generale della Pontificia accademia per la vita. Diversamente da quanto si potrebbe pensare (o sperare) il monito del pontefice non era diretto agli uomini e alle donne appartenenti alla Chiesa cattolica che in Italia e nel mondo si sono resi responsabili di crimini pedofili nei confronti di decine di migliaia di minori. No. Il papa era ferocemente preoccupato che i medici e gli scienziati non usino il proprio sapere per tentare di curare le più gravi malattie genetiche facendo ricerca sulle cellule staminali embrionali. E dunque, alludendo al nazismo, parlava a nuora (i vescovi) perché suocera (il governo italiano, l’unico che ancora presta ascolto) intendesse: «No a quegli Stati che pretendono di legiferare anche su questioni etiche, un pericolo già ampiamente condannato dalla storia». Il senso è chiaro: di cose “morali” se ne deve occupare la Chiesa. Ma da quale pulpito? Tre giorni dopo, il 16 febbraio, un nuovo monito del papa: «La pedofilia è un crimine contro Dio». Così titolano il 17 febbraio Avvenire e, curiosamente, anche le due principali testate nazionali Repubblica e Corsera. Questa volta il parterre del pontefice è composto dai 24 vescovi delle diocesi d’Irlanda. Convocati in Vaticano per far fronte al terremoto causato dal Rapporto Murphy che ha sconquassato la Chiesa dell’isola britannica.

Non un giornale, non un politico ha evidenziato l’incongruenza. Non una critica si è levata. Di fatto, secondo il papa la “vita” di una cellula ha più valore di quella di un bambino. La ricerca scientifica uccide l’embrione, il prete pedofilo «ferisce» (questa la parola usata dal pontefice) il minore violentato. Una differenza qualitativa che in effetti dà ragione a Benedetto XVI quando ammonisce gli Stati che pretendono di legiferare su questioni etiche. Vaticano compreso?
Rispondono i fatti. Porta la firma dell’allora cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il De delicti gravioribus, la “lettera” spedita nel 2001 ai vescovi di tutto il mondo in cui rinnova quanto riportato nel Crimen sollicitationis del 1962: di giudicare i «gravi delitti contro la morale» commessi «da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età» se ne occupa la Congregazione. E poi ancora: «Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio». Per via di quella firma, nel gennaio 2005, il tribunale di Houston citò il futuro papa a comparire in una causa civile che vedeva la diocesi locale accusata di “coprire” un prete pedofilo. Divenuto capo di Stato, invocata l’immunità, poi ottenuta da George W. Bush, Ratzinger ha evitato il tribunale. Ma non che oltreoceano venisse per la prima volta reso pubblico il contenuto del Crimen. E non sorprende che sia partita dagli Usa l’onda lunga degli scandali che nell’ultimo decennio hanno portato alla luce migliaia di delitti pedofili commessi da preti e suore a partire dagli anni Cinquanta. In Italia, il Crimen, tanto più il De delicti gravioribus, praticamente non “esiste”. Solo una volta è arrivato in tribunale (vedi left n.3/2009) ma non è stato ammesso come prova del fatto che la Chiesa da decenni si sia organizzata per mantenere il più possibile nascosto il dilagare di violenze pedofile nel clero. Ora che non è più possibile far finta di nulla (tranne da parte delle nostre istituzioni che pendono dalle labbra delle gerarchie cattoliche) qualche preoccupante crepa anche nel nostro Paese comincia a manifestarsi.

«L’Italia non è immune dal triste fenomeno dei preti pedofili», ha detto don Fortunato Di Noto chiamato da Radio vaticana a commentare la linea della “tolleranza zero” ora imposta dal papa ai vescovi dell’Irlanda. «In questi ultimi 10 anni - ha spiegato il fondatore dell’associazione antipedofili Meter - circa 80 sacerdoti sono stati coinvolti. O perché denunciati o perché già processati e condannati. È un fenomeno che esiste, è un fenomeno che c’è, nessuno può dire che non sia così». Poi l’affondo: «Anche da noi bisogna fare un lavoro sui seminari. Molto, molto lavoro di formazione, di discernimento nei seminari. Bisogna fare un attento monitoraggio ma anche affrontare le situazioni delicatissime che si vengono a creare con molta oculatezza, prudenza e soprattutto efficacia». Il messaggio è chiaro. È nei luoghi di formazione delle nuove leve del clero che si insidia il “germe” della pedofilia. Ed è qui che occorre fare opera di prevenzione. Specie in quelli minorili, dove dei preti “educano” bambini tra gli 8 e i 16 anni. L’età più critica. Non a caso la Carta dei diritti del fanciullo delle Nazioni unite (1989) ne ha proibito l’istituzione, spiegando che i bambini devono rimanere in famiglia per crescere nell’ambiente più consono al loro sviluppo. Per impedire cioè che avvenga uno “strappo” educativo negli anni in cui si entra nell’età adolescenziale, quella più delicata dal punto di vista della sessualità. Ebbene, anche per il crollo delle vocazioni questi seminari vanno oramai chiudendo in quasi tutto il mondo. Ma in Italia ce ne sono ancora 123. A essi vanno aggiunti 25 convitti, per un totale di 2.743 seminaristi minori. È quanto risulta dall’ultimo censimento disponibile effettuato dalla Cei nel 2007. Allo stesso modo risulta che quella Carta dell’Onu non sia mai stata sottoscritta dal Vaticano.
26 febbraio 2010

PEDOFILIA: DA OREGON E GB ACCUSE CONTRO LEVADA, PREFETTO EX-SANT'UFFIZIO  
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 3 apr - Il prefetto della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, il card. William Levada, successore di Joseph Ratzinger alla guida del piu' importante dicastero della Curia romana, ha rimesso un prete pedofilo al suo posto, difendendo la sua decisione durante una deposizione davanti ai giudici nel 2006, quando era arcivescovo di San Francisco. L'episodio si riferisce al periodo tra il 1986 e il 1995, quando Levada era arcivescovo di Portland, nell'Oregon, e riguarda p. Joseph Baccellieri.

Secondo il verbale della deposizione dell'arcivescovo, diffusa alla stampa da Erin Olson, un avvocato delle vittime del sacerdote, Levada non aveva ritenuto opportuno informare i fedeli delle accuse contro Baccellieri, perche' questi era stato in cura presso uno psicologo e si era ravveduto. Aveva informato della vicenda solo il parroco che il prete accusato avrebbe dovuto affiancare come vicario parrocchiale. Malgrado si trattasse di un ruolo amministrativo, Baccellieri sarebbe stato successivamente 'promosso' pastore della comunita'.

Deponendo al processo - che riguardava anche altri casi di abuso nella sua diocesi - Levada disse che Baccelliere era stato curato e che ''non c'era piu' il rischio che abusasse di nuovo di altre persone''. Per questo giudicava ''prudente riaffidargli i suoi incarichi''. Informare i fedeli dei precedenti del sacerdote, sostenne Levada, ''avrebbe potuto avere l'implicazione che se viene loro detto questo, io sospetto che lui potrebbe essere pericoloso - che i loro bambini potessero essere in pericolo''. A Baccellieri vennero comunque imposte una serie di condizioni, come incontri periodici con psicologici della diocesi di Portland.

Levada, in un intervento pubblicato sul sito web della Santa Sede, ha recentemente difeso la condotta di papa Benedetto XVI di fronte ai casi di pedofilia quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, criticando aspramente il New York Times per le sue inchieste.

In quel documento il porporato afferma, tra l'altro, di essere venuto a conoscenza del problema pedofilia nella Chiesa ''solo nel 1985'', durante un incontro della Conferenza episcopale Usa. Ma secondo quanto scrive oggi il quotidiano britannico The Guardian, tre sacerdoti avevano stilato un ''manuale'' per affrontare la crisi gia' dopo che il primo caso di prete responsabile di abusi era scoppiato nei media, nel 1984. A seguire i loro lavori, in un incontro riservato prima della riunione dei vescovi Usa, c'era proprio Levada, che oggi dice pero' di non ricordare quella riunione.

asp/uda/ss

(ASCA-AFP) - Vienna, 2 apr - Centosettantaquattro casi denunciati in due settimane. E' il risultato ottenuto dal numero telefonico istituito dall'associazione austriaca ''Piattaforma delle vittime della violenza della Chiesa'', che raccoglie le denunce degli abusi commessi dai preti cattolici. ''Ogni giorno veniamo a conoscenza dei metodi educativi delle istituzioni cattoliche negli anni sessanta e settanta'', ha detto Holger Eich, psicologo della ''Piattaforma''. ''Possiamo riassumere tutto con una sola parola: sadismo''.
Secondo l'associazione, il 43% dei casi riguarda violenze fisiche, il 34% abusi sessuali e il 23% violenze morali. Il 68% delle vittime sono maschi, cosi' come il 74% dei responsabili delle violenze.

red-uda/cam/alf

I vertici del Vaticano, tra cui il futuro Papa Benedetto XVI, occultarono gli abusi di un prete americano, sospettato di aver violentato circa 200 bambini sordi di una scuola del Wisconsin. Lo scrive il New York Times, sulla base di alcuni documenti ecclesiastici di cui è venuto in possesso. La corrispondenza interna tra vescovi del Wisconsin e l'allora cardinale Joseph Ratzinger, scrive il New York Times, mostra che la priorità era, a quel tempo, quella di proteggere la Chiesa dallo scandalo.

ECCO LA DOCUMENTAZIONE DEL NEW YORK TIMES

La notizia arriva all'indomani delle dimissioni del vescovo irlandese John Magee, che ha lasciato l'incarico perché travolto da un'inchiesta su presunti casi di pedofilia. E in mattinata, a Roma, due cittadini americani vittime di preti pedofili, insieme ad attivisti dell'associazione statunitense Snap, che raccoglie coloro che denunciano abusi sessuali commessi da sacerdoti, hanno distribuito questa mattina volantini contro Papa Ratzinger proprio al confine tra l'Italia e la Città del Vaticano, cioè al limite tra piazza Pio XII e piazza San Pietro. Sui volantini, la storia del prete del Wisconsin del quale parla oggi il New York Times.

La vicenda in questione riguarda il reverendo Lawrence C. Murphy, che aveva lavorato nella scuola dal 1950 al 1974. Nel 1996, riferisce il quotidiano americano, l'allora cardinale Joseph Ratzinger non fornì alcuna risposta a due lettere che gli furono inviate dall'arcivescovo di Milwaukee, Rembert G. Weakland, mentre solo otto mesi più tardi il cardinale Tarcisio Bertone diede istruzioni ai vescovi del Wisconsin di avviare un processo canonico segreto che avrebbe potuto portare all'allontanamento di padre Murphy.

LE FOTO DI PADRE MURPHY

Secondo la documentazione del New York Times gli unici a preoccuparsi di Murphy sono stati i vertici della diocesi americana e la Congregazione per la Dottrina della Fede, mentre le autorità civili avevano archiviato il caso. In particolare la Congregazione della Dottrina della Fede che si occupò del caso solo tra il 1996 e il 1997, ha dato indicazione di procedere nei confronti di padre Murphy malgrado la lontananza temporale dei fatti costituisse un impedimento a norma di diritto canonico.

Bertone, precisa il New York Times, fermò questo processo dopo che lo stesso padre Murphy scrisse al cardinale Ratzinger ricordando che il caso era sostanzialmente caduto in prescrizione. "Voglio solo vivere il tempo che mi resta nella dignità del mio sacerdozio. Chiedo il vostro aiuto in questa vicenda", chiese il sacerdote. Nei documenti, ottenuti dal quotidiano dai legali di cinque uomini che hanno fatto causa alla diocesi di Milwaukee, non c'è traccia della risposta di Ratzinger a questa lettera. Ma secondo quanto si legge, padre Murphy non ricevette mai alcuna punizione o sanzione e fu trasferito in segreto in alcune parrocchie e scuole cattoliche, prima di morire nel 1998.

Un'immagine d'archivio
scattata in Vaticano

Diversa in parte la versione fornita da Avvenire: sul sito il quotidiano dei vescovi italiani sostiene però che dopo la prima denuncia ( 15 maggio 1974) di un ex studente della St. John's School per i sordi sugli abusi compiuti su lui e altri ragazzi da padre Lawrence Murphy tra il 1964 e il 1970, un'indagine ci fu. Ma il giudice incaricato archiviò il caso. La diocesi di Milwaukee invece allontanò subito padre Murphy, con un permesso temporaneo per motivi sanitari (fino a novembre 1974) che però divenne definitivo. Nel frattempo però le denunce presso la diocesi di Milwaukee si moltiplicarono e tra il luglio e il dicembre del 1993 padre Murphy venne sottoposto a quattro lunghi interrogatori dai responsabili dell'arcidiocesi assistiti da psicologi esperti di pedofilia.

Il quadro che ne emerse fu quello di un 'pedofilo tipico'. Il trattamento raccomandato fu quello psicologico per maniaci sessuali oltre a un accompagnamento pastorale/spirituale e una restrizione nell'attività ministeriale. Dalla relazione degli interrogatori si evince che ci furono 29 denunce di ragazzi. Dai documenti successivi si ha poi la dimostrazione che l'arcidiocesi di Milwaukee proseguì nelle indagini cercando di appurare la realtà e l'ampiezza dei fatti. Il 17 luglio 1996 il vescovo Rembert Weakland scrisse all'allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, chiedendo lumi sul caso di padre Murphy e su quello - non collegato - di un altro prete, accusato di crimini sessuali e finanziari. Dai successivi documenti non sembrerebbe che la lettera sia mai arrivata sul tavolo del cardinal Ratzinger e dell'allora monsignor Bertone, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, con un comunicato citato dal New York Times spiega che elementi determinanti nella decisione di non punire padre Murphy furono la sua salute precaria e l'assenza di nuove accuse nei suoi confronti. Il sacerdote ha certamente abusato di bambini "particolarmente vulnerabili" e violato la legge e si tratta di "un caso tragico", osserva Lombardi, sottolineando però che il Vaticano è stato messo a conoscenza del caso solo nel 1996, anni dopo la fine delle indagini. Sui motivi per i quali padre Murphy non sia mai stato punito riducendolo allo stato laicale, il portavoce ha risposto che "il diritto canonico non prevede punizioni automatiche".

Anche l'Osservatore Romano replica all'articolo del New York Times, definendolo in un editoriale intitolato "Nessun insabbiamento" un "evidente e ignobile intento di arrivare a colpire a ogni costo Benedetto XVI e i suoi più stretti collaboratori". "La tendenza prevalente nei media è di trascurare i fatti e di forzare le interpretazioni al fine di diffondere un'immagine della Chiesa Cattolica quasi fosse l'unica responsabile degli abusi sessuali, immagine che non corrisponde alla realtà", denuncia il quotidiano della Santa Sede.
(25 marzo 2010)

LA VALLETTA –
Due settimane fa Lawrence Grech ha implorato aiuto al Vaticano. "Sono cresciuto per vent'anni in un orfanotrofio a Malta. Voglio raccontarvi la mia storia e quella di altre nove vittime di abusi sessuali come me. Lo abbiamo già fatto con le autorità ecclesiastiche maltesi, non è servito a niente". Gli autori delle violenze, spiega, sono quattro. "Uno è fuggito in Italia, gli altri tre hanno ammesso le loro responsabilità alla polizia. Ma la Chiesa qui è molto potente, hanno i migliori avvocati...". Finora Grech non ha ricevuto risposte alla sua mail. Ma continua a sperare: la sua grande occasione è la prima visita di Benedetto XVI nell'arcipelago, prevista per il 17 e il 18 aprile. "Vorrei che prima del suo arrivo il papa riflettesse e chiedesse scusa".

L'appello di Grech, costretto, tredicenne, a farsi toccare dai frati dell'orfanotrofio di Santa Venera o a vestirsi da donna - per non dire dei veri e propri stupri denunciati da altri suoi compagni - arriva dopo i continui rinvii di un processo che si trascina ormai da sette anni. La pedofilia tra i sacerdoti a Malta non è purtroppo una novità: una commissione d'indagine diocesana sul fenomeno calcola che siano 45 i religiosi coinvolti negli ultimi undici anni. Nessuno di loro, però, è stato mai condannato né ha mai scontato un giorno di carcere. E il giudice che presiede la commissione, Victor Colombo Caruana, in un'intervista al Times of Malta ha difeso la linea della Chiesa: "Denunciare i casi alla polizia sarebbe inutile, senza il consenso delle vittime".

Ma quando nel 2003 un assistente sociale scoprì gli orrori nell'orfanotrofio di Grech, la Chiesa maltese tentò di bloccare l'inchiesta, appellandosi a un concordato con il governo che sottrarrebbe i preti alla giurisdizione ordinaria. Il tribunale respinse il ricorso ma assicurò che gli atti sarebbero rimasti segreti. Nessuno ha potuto così leggere i verbali con le confessioni di uno dei frati, Joseph Bonnet: "A Leonard (una delle vittime, ndr) piaceva stare sulle mie gambe... Un giorno eravamo tutti e due nudi... Può darsi che in quel momento io mi sia toccato davanti a lui...". O l'ammissione di Charles Pulis: "La mia camera era come un club, tutti i ragazzini venivano a stare sul mio letto. E da allora è cominciata tra il 1982 e il 1983, la mia debolezza. Questi abusi sessuali sfortunatamente erano molto frequenti". Pulis dice di aver cercato di contenere i suoi impulsi. "Volevo uscirne. Così sono andato a Roma a visitare la Casa dei bambini. E lì mi hanno suggerito di seguire un programma di recupero. La terapia mi ha fatto molto bene, sono diventato sensibile ai bambini vittime di abusi".

Tra gli imputati c'è anche padre Godwin Scelli, sfuggito a un arresto in Canada per altri abusi. Scelli trovò facilmente riparo a Roma e a Malta: l'arcivescovo dell'epoca, pur essendo a conoscenza dei suoi precedenti, lo aveva accolto nella sua diocesi, bollando le notizie su Scelli come "indiscrezioni giornalistiche".

L'agenzia Appogg si è occupata, tra il 2001 e il 2009, di ben 845 casi di abusi, sessuali e non, su minorenni. "Ma se a commetterli sono preti e suore, quasi sempre le denunce restano in parrocchia", accusa Grech. A Gozo, nel villaggio contadino di Nadur, incontriamo un sacerdote sospeso dalla Curia: non può recitare messa in pubblico ma continua a farlo in privato. "Fu la madre di un ragazzo a denunciarmi. Aveva avuto un esaurimento, povera donna...". La gente del paese è con lui: "E' innocente - assicura una fedele - e comunque, chi siamo noi per giudicare?".

È finita con le scuse dell'arcivescovo di Gozo - ma senza nessuna conseguenza penale - anche l'inchiesta interna sul convento di Ghajnsielem, che nel 2008 confermò le accuse sulle sevizie alle quali erano sottoposte le bambine, costrette a ingoiare il loro vomito e frustate con la cinghia sin dagli anni Settanta.
A Gozo, nel capoluogo Victoria, vive anche padre Anthony Mercieca, divenuto famoso, nel 2006 per aver molestato il deputato repubblicano Mark Foley quando era ancora tredicenne. Fu Foley a fare il suo nome dopo essersi dimesso perché accusato, a sua volta, di aver importunato i suoi giovani collaboratori. "Facevamo il bagno nudi e forse una volta lo toccai...", ammise poi Mercieca in un'intervista. Poi si fecero avanti altre due presunte vittime, una delle quali raccontò di essere stato costretto anche a rapporti orali. "Ho negato tutto. E non ho voglia più di resuscitare questi fantasmi, ormai è acqua passata: ho già sofferto molto", taglia corto ora Mercieca, che a Victoria è ancora molto rispettato: una foto che lo ritrae da giovane è in bell'evidenza nella fornitissima - grazie alle sue donazioni - biblioteca della Cattedrale.

In questi giorni molti, a Malta, chiedono verità. Nei forum e nei gruppi Facebook che da tempo chiedono l'istituzione di un registro dei pedofili - da poco approvato dal parlamento maltese - si parla apertamente di "omertà" e si propone una commissione d'indagine come in Irlanda. Ma dal governo fanno sapere: "Non è nella nostra agenda".

Da Repubblica

Una ''commissione internazionale composta di giuristi di fama'' e altri esperti fosse ''invitata a studiare che cosa non ha funzionato e perche''' nella gestione dei casi dei preti pedofili a livello vaticano, e non solo di Chiese nazionali, questa potrebbe fare ''un grande servizio alla Chiesa e alla verita'''. Lo scrive, nell'editoriale dell'edizione in edicola oggi, il settimanale cattolico britannico The Tablet. Il periodo del Paese che papa Benedetto XVI visitera' il prossimo settembre sottolinea come le azioni del pontefice siano state dettate ''dalla preoccupazione per le vittime e da un profondo desiderio di fare pulizia nella Chiesa cattolica''.

Questo pero' non toglie che, come sottolineato ad esempio nel rapporto Murphy sulla Chiesa irlandese e la pedofilia, i vescovi non si siano sentiti molti aiutati da Roma in alcune occasioni: ''Il cardinale Ratzinger ha guidato la Congregazione per la dottrina della fede dal 1981 al 2005...

- scrive il Tablet - Fino ad oggi non ci sono molte prove che il Vaticano riconosca le proprie colpe per quel che e' andato storto. Di cosa si tratti rimane ancora da vedersi, e adesso c'e' un grande bisogno, nell'interesse della trasparenza e della giustizia, di andare fino in fondo''.

Il Tablet invita anche a non dare la colpa ai media degli scandali riconoscendo che e' stata proprio la stampa a dare per prima ascolto alle vittime quando queste venivano ancora ignorate non solo dalla Chiesa, ma anche dallo Stato. Se adesso i media alzano la voce, almeno ''compensano il silenzio che regnava prima''. ''Ogni istituzione sotto un attacco prolungato da parte dei media - conclude il Tablet - e' tentata di richiudersi in una mentalita' da assedio, ma questo non e' mai edificante e non risolve nulla''.

asp/mcc/ss ( agenzia ASCA )

Da www.lastampa.it

Mentre il Papa tace, altri parlano e, a volte, litigano. Dopo la lettera ai cattolici irlandesi, Benedetto XVI non è più intervenuto pubblicamente sulla vicenda dei preti pedofili. Le sue omelie per le cerimonie pre-pasquali hanno deluso quanti, nell’opinione pubblica, si attendevano una parola di chiarimento sulle nuove accuse indirizzate da mass media e avvocati di vittime alla Chiesa cattolica e al Vaticano. Ma Benedetto XVI si è concentrato sull’atmosfera di silenzio e preghiera con cui la Chiesa commemora la morte e la risurrezione di Gesù.

Il portavoce vaticano e l'Osservatore romano, intanto, rispondono alle ultime critiche giunte in Vaticano dagli Stati Uniti. Tre i fronti. Il New York Times torna sul caso di padre Lawrence C. Murphy. Il sacerdote che negli anni Settanta aveva abusato di 200 giovani sordomuti quando lavorava in un istituto di Milwaukee avrebbe continuato a molestare ragazzini anche dopo essere stato ’esiliatò in un cottage nel Wisconsin. In secondo luogo, secondo documenti ottenuti dall'Associated Press, l’ex arcivescovo di Portland (Oregon) William Levada, ora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, avrebbe difeso in una deposizione in tribunale del 2006 la scelto di reintegrare un prete accusato di abusi senza dire nulla ai suoi parrocchiani.

Sempre l'Associated press scrive, infine, che il Vaticano avrebbe aspettato oltre dieci anni per ridurre allo stato laicale un prete americano dell’Arizona riconosciuto colpevole di pedofilia, nonostante sin dai primi anni Novanta l’allora vescovo di Tucson, Manuel Moreno, avesse segnalato il caso al cardinale Ratzinger all’epoca a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il portavoce vaticano interviene con una nota per contestare la «fuorviante» ricostruzione del caso dell’Arizona. Padre Federico Lombardi precisa che la Congregazione per dottrina della fede si era interessata «attivamente nel corso degli anni 90» del caso, tanto che il sacerdote fu ridotto allo stato laicale nel 1997.

Padre Michael Teta - questo il nome del prete - «presentò però appello contro la sentenza» e il suo ricorso «pervenne al Tribunale della Congregazione quando era stata già avviata la revisione delle norme canoniche precedentemente in vigore» che ampliò - per volontà di Ratzinger - le competenze del dicastero vaticano, sino ad allora interessato dei casi di pedofilia solo laddove avvenivano in confessionale a «tutti i casi di ’delitti più gravì» per assicurare «una trattazione più sicura e rapida». A quel punto furono presi in esame i ricorsi pendenti, «e quello del caso Teta fu uno dei primi ad essere discusso». Ciò «richiese del tempo» ma «la sentenza di primo grado venne confermata ’in totò, con la conseguente riduzione a stato laicale nel 2004», spiega Lombardi, che sottolinea, comunque, che «quando gli appelli rimangono pendenti e la sentenza è sospesa, sono in vigore le misure cautelative imposta dal vescovo all’imputato», per cui il sacerdote «era già sospeso dall’anno 1990».

L'Osservatore romano, da parte sua, non entra nel dettaglio delle contestazioni. Il quotidiano vaticano riferisce dei «messaggi di solidarietà» che arrivano «da tutto il mondo» al Papa «per gli attacchi calunniosi e la campagna diffamatoria costruita attorno al dramma degli abusi sessuali commessi da sacerdoti», in un articolo intitolato "Una propaganda grossolana contro il Papa e contro i cattolici" (occhiello: "Vescovi di tutto il mondo vicini a Benedetto XVI bersaglio di un’ignobile operazione diffamatoria"). In particolare, l'Osservatore riporta le dichiarazioni del cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, che rileva come l’offensiva dei media sia concentrata nella Settimana Santa. Già ieri, in assenza di pronunciamenti del Papa o di altri maggiorenti di Curia (il cardinale Tarcisio Bertone parte martedì prossimo per un viaggio in Cile), l’attenzione dei media e dei commentatori si era concentrata sulle parole del predicatore della Casa pontificia. Nell’omelia per la messa papale della Passione di Cristo, padre Raniero Cantalamessa ha tracciato un parallelo tra le accuse al Papa e l’antiesmitismo. Immediata la reazione stizzita della comunità ebraica internazionale. «È un paragone improprio e una caduta di gusto», afferma da Roma il rabbino Riccardo Di Segni. Già ieri sera il portavoce vaticano ha subito precisato che il paragone «non è la linea seguita dalla Santa Sede».

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La legge del celibato non è una verità di fede, ricorda Kung, ma una legge della chiesa, che dovrebbe essere abrogata, è in vigore dall' XIesimo secolo,  ma era già stata contestata dai riformatori nel 16esimo secolo.
Ci sono innumerevoli testimonianze di psicoterapeuti e psicoanalisti, ha detto Hans Kung,  secondo i quali il celibato ecclesiastico e il tabù del sesso asseconderebbero le tendenze alla pedofilia, già nei seminari. Quindi per il teologo ribelle i vescovi non solo dovrebbero chiedere perdono, ma dovrebbero anche dichiararsi colpevoli e complici, perché per decenni hanno coperto casi di abusi, proteggendo i sacerdoti, i vescovi, più che i bambini - Da intervista su Suddestzche Zeitung

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