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I suicidi e il giornalismo suicida - di Ennio Remondino

Le cronache delle ultime settimane ci hanno proposto una triste serie di suicidi da parte di titolari di imprese. Crisi finanziarie ed economiche, indebitamento, insolvenza, fallimento. Tanti casi diversi con un unico tratto in comune, stando almeno alle cronache: la causa principale del suicidio sono le banche avare e lo Stato esattore. Manca sempre il contesto extra economico in cui è maturato il "tragico gesto". La vittima soffriva per qualche male fisico o psichico, per rapporti familiari, affettivi o sociali deteriorati?

Ma isolare l'angoscia economica (che è di molti, molti di più), fa diventare quella morte una "notizia". Accade e in genere veniamo informati solo della tecnica dell'ammazzamento: arma da fuoco, impiccagione, precipitazione, avvelenamento, ecc. Difficile leggere qualche riga sulla tragica solitudine personale in cui si è consumato quel gesto estremo.

Comprensibile che questi suicidi provochino riflessioni su banche, fisco, il governo, le politiche di rigore, ed Equitalia. Quando poi, anche sulla scia di quanto legge, qualche altra persona emotivamente fragile assalta qualche esattoria, l'argomento dell'emulazione viene appena sfiorato. Gli psicologi li chiamano comportamenti imitativi, fornendo a persone momentaneamente fragili una "causa nobile" dietro cui concentrare e giustificare la loro fuga dalla vita. Il meccanismo della comunicazione gridata o della commozione solidale post mortem soffoca le riflessioni e non aiuta - temo - a guardare in faccia gli aspetti reali di questo fenomeno.

Ho letto da qualche parte che esisterebbe una "corrente suicidogena" (terribile terminologia da scienziato pazzo) che aumenta di intensità dentro il corpo della società e dei suoi elementi più fragili. Crisi economica "suicidogena"?

Il numero di suicidi è certo, senza essere scienziati, un campanello di allarme sul disagio collettivo della società in cui stiamo vivendo. E, dicono gli studiosi, che anche i suicidi aumentano nei "gruppi sociali più svantaggiati". Il sociologo Giancarlo Rovati fornisce anche dei numeri per aiutarci a capire. E non dire bugie. Istat del 5 marzo di quest'anno con i numeri dei 10 anni sino al 2010. «In Italia dal 2001 al 2010 si sono registrati circa 3000 suicidi all'anno (con un picco di oltre 3250 nel biennio 2003-2004), a cui va aggiunto un numero pressoché equivalente di tentati suicidi che pure denotano condizioni preoccupanti di disagio personale e sociale. Il peso della solitudine e dell'emarginazione sociale è evidenziato dal fatto che il tasso dei suicidi e dei tentati suicidi è più elevato tra gli individui più anziani, gli individui celibi o nubili, i disoccupati piuttosto che tra i più giovani, i coniugati, gli occupati».

Il cinismo apparente dei numeri ad evitare la montatura delle emozioni costruite. Ancora. «La presenza di un numero elevato di disoccupati e di persone in cerca di occupazione tra coloro che hanno commesso o tentato il suicidio chiede di spostare l'attenzione sulla parte economicamente e socialmente svantaggiata della popolazione. I dati sulle motivazioni che spingono a gesti disperati mostrano infine che le cause specificamente economiche hanno un peso minoritario (tra il 6-7% del totale), mentre in primo piano vi sono le condizioni di salute problematiche (43%), e i problemi affettivi (17%) che attengono direttamente al bisogno di legami autentici e durevoli.

Anche i suicidi degli imprenditori, messi oggi al centro della comunicazione pubblica, non sono riconducibili principalmente a ragioni economiche ma condividono, al pari di quelli delle altre categorie professionali, l'intera gamma delle motivazioni accertabili».

Ribatte la Cgia di Mestre, l'Associazione Artigiani Piccole Imprese: "La mancanza di liquidità è il denominatore comune che si riscontra in quasi tutti questi drammi". Il Veneto sarebbe la regione con il maggior numero di casi. La proposta: "Istituire un fondo di solidarietà". Secondo i loro dati, sarebbero 32 gli imprenditori che si sono suicidati dall'inizio dell'anno. Le cause di queste tragedie? Per fortuna su questo quesito chiave il centro studi della Cgia frena. «Difficile dare una risposta esaustiva - sottolinea la Cgia - tuttavia, la mancanza di liquidità è il denominatore comune che si riscontra in quasi tutti questi drammi: senza contare che molti imprenditori, a seguito del mancato pagamento da parte dei committenti, sono sprofondati nella crisi più profonda senza riuscire a risollevarsi». Dunque, frenando rispetto al titolo di partenza, in disagio di quei poveri morti era "anche" economico.

L'emotività del fatto (per noi giornalisti) e l'emergenza di fattori reali di crisi (da parte di tanti piccoli imprenditori), tende a confezionare verità discutibili e spesso dannose. Gli episodi ormai gravi di minaccia nei confronti di Equitalia parlano chiaro. Col giornalismo che a volte riesce a coprirsi anche di ridicolo. Il grave assalto a Napoli con supporto violento di centri sociali e blak blok. Poi le voci dei più pacifici manifestanti: "Ma io avevo qualche multa non pagata e guarda qui che cifra mi chiedono di pagare". Risposta non consentita: "Bravo furbetto. Le infrazioni le facevi, la multe non le pagavi, e ora al conto si aggiunge la mora. Io che ho sempre pagato, applaudo". Oppure chi non ha versato l'Iva. In questo caso è anche ladro, perché si è trattenuto quella pagata dal consumatore. Oppure - altro episodio giornalisticamente esaltato - dieci anni di evasione del canone Rai. La Rai farà pure schifo, ma quella è una tassa. Con dispiacere io la pago.

Insomma. Maggiore prudenza giornalistica aiuterebbe certamente a capire meglio il fenomeno e ad evitare, in alcuni casi, il perverso effetto emulazione. Le ragioni imperscrutabili di scegliere il gesto estremo di togliersi la vita sono innanzitutto terribilmente personali e, secondo, difficilmente contenibili in una sola ragione. Mai in un titolo di giornale. Per fortuna o forse soltanto per dignità del ceto cui apparteneva, si è salvato da certe speculazioni e intromissioni intime Maurizio Cevenini, il mancato sindaco di Bologna. La lucida pietà della figlia Federica in chiesa, che gli dice addio così: "Scusa papà se non ho capito quanto eri triste". A volte, quasi sempre, è l'eccesso di tristezza che uccide. Da qualsiasi elemento esse sia provocata. E la misura di quella tristezza è sempre e soltanto personale. Quale che sia o si voglia far risultare la causa apparente. Un po' di rispetto per i troppi Cevenini, per favore.

da www.globalist.it

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