Gentile Presidente Monti,voglia scusare la mia sfrontatezza e ancor più il tono franco con cui mi rivolgo a lei. Mi permetta innanzitutto di dirle, senza offesa, che la televisione non è davvero il suo forte.Lo avevamo intuito in tanti allorquando per annunciare le misure d'emergenza anticrisi, anziché rivolgere agli italiani un bel messaggio in prima serata, optando per un tono colloquiale, forse più sdrammatizzante, lei scelse il solito Porta a porta, la stessa trasmissione in cui il suo predecessore, Silvio Berlusconi, aveva stipulato il suo demagogico e truffaldino contratto con gli italiani.
Al di là degli alti indici di ascolto del programma, non crede che sarebbe servito un segno di discontinuità ed una presa di distanze dal salotto di Vespa che aveva rappresentato-ed in parte ciò avviene ancora-lo specchio di un' Italia di regime, con il suo rissoso e farsesco teatrino della politica, i suoi opinionisti di giro, le cocottes scosciate e i famigerati plastici di truculenti luoghi del delitto? Potremmo dire che pure lei, ancora del tutto incolpevole, non ha però resistito all'attrazione del vero luogo del delitto. Transeat, in fondo lei è competente in tante altre cose, lo sappiamo.
Recentemente lei è tornato ad occuparsi direttamente di televisione e avvalendosi delle sue prerogative di premier attraverso il Ministero dell'Economia, ha designato Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi quali suoi candidati rispettivamente per gli incarichi di presidente e di direttore generale della Rai. Per porre argine ad una situazione da troppo tempo incancrenita e ben al di sotto del limite della decenza, lei solitamente così prudente e rispettoso delle regole, stavolta non si è fatto scrupolo di agire con fermezza, anche a costo di forzare la prassi, pur di determinare un drastico cambio di indirizzo nella gestione del servizio pubblico televisivo.
Non sarò certo io a muoverle rilievi di natura procedurale, anzi le dico subito che plaudo alla sua risolutezza né le rimprovererò come altri di conoscere solo banchieri. Sicuramente si tratta di manager capaci ed integerrimi. Ma qui non si tratta solo di rimettere ordine nei conti disastrati della Rai, rientrare delle forti esposizioni bancarie(500 milioni?), tagliare i rami secchi e magari più in là cedere una rete ad un nuovo acquirente privato(De Benedetti?) per riequlibrare un mercato televisivo gonfiato e dunque di riportare alla normalità una serie di situazioni fuori controllo.La questione è molto più complessa e lei lo sa benissimo. Ci vorrebbe ben altra maggioranza, forte e compatta, di quella di cui lei dispone per bonificare la Rai e aggredire il nodo strategico per antonomasia delle vicende politiche e sociali italiane degli ultimi tre decenni.
Non è forse strettamente connesso a questa mostruosa anomalia televisiva tutta italiana la genesi del berlusconismo ed ora anche del tumultuoso fenomeno del grillismo? Ma dal momento che lei a dispetto dei tanti nemici di una seria e radicale riforma televisiva annidantisi nella maggioranza parlamentere che la sostiene, si è mosso con questo piglio, la invito ad andare oltre,anzi a vedere le cose da un'altra prospettiva. Ad esempio, le chiedo se non crede che per guidare la maggiore azienda culturale italiana un manager non debba possedere una competenza specifica, come da prassi virtuosa dovrebbe accadere per tanti altri settori e non soltanto un'oculatezza di tipo ragionieristico.
E' un 'osservazione che le hanno mosso anche Carlo Freccero e Michele Santoro autocandidatisi provocatoriamente in tandem per la presidenza e la direzione generale di Viale Mazzini, liquidando la neutralità culturale della soluzione da lei proposta come tipicamente riduttiva di una visione turbocapitalista della governance del sistema radiotelevisivo pubblico. Non hanno torto secondo me, seppure spesso in passato i due abbiano predicato bene e razzolato male.
Diversamente da quel pubblico di sinistra ma di corta memoria che identifica Freccero con una serie di programmi da lui promossi ai tempi della direzione di Rai 2, mi è difficile dimenticare che in ben due riprese egli è stato l'ideologo della televisione berlusconiana al suo stato nascente. Sorprende un po' questo suo recente piglio barricadero considerando che negli ultimi anni sembrava rassegnato ad una dorata sinecura se si eccettua qualche sporadico inalberamento in caso di sgarbi personali subiti dall'azienda. Ma se Freccero, uomo di idee, ci è comunque sinceramente simpatico, forse per via della la sua estrazione cinefila e a dispetto di certi suoi percorsi un po' sinusoidali, per Michele Santoro, ventennale paladino di certe frustrate platee gauchistes del piccolo schermo non valgono neanche queste considerazioni vagamente attenuanti.
So di inimicarmi definitivamente tanti amici e conoscenti nello scrivere quanto segue ma credo proprio che tra qualche anno, quando questa travagliata epoca politica e mediatica sarà consegnata ad una più distaccata riflessione i programmi da lui ideati e condotti appariranno non già come una provvidenziale oasi di indignazione civile bensì come in tutto e per tutto consustanziali a quel regime dell'informazione contro i quali volevano apparire alternativi ed antagonisti. Insomma come due facce di una moneta, per di più fasulla ,un po' come può esserlo un ex militante dei comunisti italiani marxisti-leninisti convertitosi al doppio petto firmato Armani o se preferite, come un indefesso tribuno antipartitocratico a suo tempo entrato in Rai grazie alla sua tessera di partito.
E' vero che essere funzionario di partito negli anni settanta era diverso da ciò che si intende oggi ma non era il massimo neppure allora, diciamolo .Se non si fosse rivelata tragicamente infelice l'espressione coniata da Leonardo Sciascia per “i professionisti dell'antimafia”,varrebbe la pena di parlare di professionisti dell'antiberlusconismo che spesso giocando su una scontata rendita di posizione hanno costruito carriere fortunatissime a petto di doti non proprio da grandi opinionisti. E senza neppure farsi scrupolo di andare “a letto con il nemico”, così occasionalmente,tanto per non sentirsi troppo costipati in uno schieramento o per accrescere le proprie quotazioni di mercato.
All'inizio degli anni novanta,in occasione di un'anteprima cinematografica, mi capitò di avvicinare Michele Santoro per fargli notare come il suo programma, Samarcanda, finisse sistematicamente per sforare di oltre 40' sul ciclo dedicato a Francois Truffaut. A parte lo spreco di nastro vhs cui ero esposto, programmando a distanza, da questa disinvolta esondazione catodica, gli chiesi se non trovava poco rispettoso per non dire arrogante questa insofferenza per gli orari e per le attese degli altri spettatori, costretti a fare le ore piccole per vedere L'uomo che amava le donne o Jules e Jim o La sposa in nero? Per tutta risposta, compresissimo nel suo ruolo di vindice del popolo di sinistra, diede a me e alle mie puerili e particolaristiche manie cinefile la patente dell'inconsapevole, di chi vuole restare fuori del mondo. Replicai che negli anni sessanta i programmi di approfondimento politico e sociale,ad esempio quelli condotti da Arrigo Levi, oltre che essere ben più essenziali e sostanziosi, si risolvevano sempre nei tempi previsti e gli chiesi allora, confesso, non senza quel minimo di enfasi che richiede un'anatema, se riteneva davvero che tra venti anni i suoi programmi avrebbero avuto ancora un qualche valore al di là di quello che riveste qualsiasi documento d'epoca e se per contro I quattrocento colpi avrebbe mai potuto cessare di esercitare il suo fascino su quanti amano il cinema.
Il tempo è trascorso ormai e la scommessa appare fondata su un pronostico fin troppo facile. Ed invece non è così. Occorre dire finalmente a chiare lettere che in Italia, segnatamente negli ultimi vent' anni, un certo ceto medio cosiddetto riflessivo,certamente compiaciuto, abitudinario ed autoreferenziale, ha scambiato la propria protesta civile con l'atto di tifare per Santoro ed altri suoi colleghi, restandosene comodamente sprofondato in poltrona nel tinello di casa,salvo partecipare di tanto in tanto a qualche girotondo,così pure per tornare per poche ore agli anni verdi.
Al contempo si è pure impigrito, sedentarizzato, impantofolaiato, come da italica usanza domestica, lasciando così sguarnito quello che era il vero fronte su cui si consumava il collasso antropologico-culturale italiano,l'unico luogo che poteva rappresentare, seppur sempre più faticosamente, uno spazio di critica,riflessione, dubbio, riossigenazione del gusto dall’azione banalizzante ed ottundente del piccolo schermo. Mi riferisco ai teatri, ai cinema, ai concerti. Ed ai libri, ovviamente, tutti sconfitti dalla televisione intesa nella sua magmatica, avvolgente e totalizzante integralità, quella di Vespa e quella di Santoro, quella della De Filippi e quella delle scadenti fiction, con la sola eccezione di pochissimi programmi che abbiano meritato una serata davanti al piccolo schermo. Il degrado etico italiano è figlio pure di questo disastro estetico, per quanto Tzevan Todorov si pregi di informarci che il nesso tra le due cose non sempre è così diretto e che il feroce Stalin era un fervente ammiratore del mite Cechov. Non sono un fanatico della purezza assoluta, non fosse che per formazione laica, ma credo che oltre ai buoni proponimenti l'esperienza ci debba indurre a valutare la credibilità di chi li esprime.
Dunque se auspichiamo sinceramente l'apertura di una nuova stagione dobbiamo coerentemente ritenerla chiusa a quanti si sono dimostrati buoni per ogni stagione.Scusi la lunga divagazione, signor Presidente,torno a lei, invitandola ad osservare come spesso la verità si travesta da boutade e dietro una provocazione per certi versi irriverentemente dadaista si nasconda l'evidenza più lampante.
C'è stata nei giorni scorsi un'altra autocandidatura alla guida dell'azienda radiotelevisiva di stato accolta con sufficienza o più spesso ironia dagli addetti ai lavori, quella di Cino Tortorella, il popolare Mago Zurlì, beniamino di più di una generazione di giovanissimi telespettatori. Non so se se lo ricorda, forse lei era già grandicello e già assorbito dalla lettura di Adam Smith e di David Ricardo. A differenza della illimitata moltitudine odierna di canali riservati ai più piccoli, zeppi di cartoni animati giapponesi o troppo violenti o troppo melensi, negli anni della mia infanzia c'era solo un'ora pomeridiana per i giovanissimi che mutuando il nome da un rotocalco per ragazzi avrebbe potuto intitolarsi Finestra sull'universo.
Di questo piccolo mondo meraviglioso Mago Zurlì, abito da paggio, mantella azzurra, bacchetta magica, lustrini nei capelli, era una sorta di gran cerimoniere, non solo quale conduttore del seguitissimo Festival dello Zecchino d'oro ma pure in veste di ideatore del gioco a quiz Chissà chi lo sa? condotto da Febo Conti e in mille altre occasioni.
Sarà che ad aver spinto Tortorella a vestire i panni del mago da lui ideato e nei quali a dire il vero rimase pure imprigionato seppure inizialmente destinati a Giancarlo Dettori, fu nel 1957 un funzionario Rai, tale Umberto Eco che avrebbe dimostrato in seguito di intendersi di molte cose, sarà stata la capacità di comunicare a gesti con i bambini grazie alle tecniche mimiche apprese da Lecocq negli anni trascorsi al Piccolo di Milano, resta il fatto che Mago Zurlì può essere considerato a pieno titolo un eroe eponimo del migliore modello di televisione.
Ho incontrato Cino Tortorella un mese fa, nella sua veste di ambasciatore Unicef (fu il primo italiano a ricevere questo incarico) ed abbiamo parlato della sua “provocazione” nata non solo dalla considerazione preoccupata sullo stato deprimente del nostro sistema radiotelevisivo ed in particolare dalla constatazione del fatto che non esiste da anni una fascia di programmazione per i più piccini, l'attività alla quale si era dedicato per una vita. Le faccio rispettosamente rilevare, Presidente Monti, che l'auto candidatura di Tortorella, strettamente legata a quella di Topo Gigio, (l'intramontabile pupazzo animato di Guido Stagnaro cui prestava voce l'attore Peppino Mazzullo, protagonista perfino di un film del maestro giapponese Kon Ichikawa) per l'incarico di direttore generale presenterebbe tra gli altri un vantaggio non da poco, quello di poter dare vita finalmente ad un tandem affiatato e non come è accaduto finora ad una diarchia di soggetti l'un contro l'altro nominati e schierati.
Ci faccia un pensierino, Presidente Monti, ed anziché sondare, come ha fatto Bersani le associazioni culturali più à la page del momento e le piccole lobby che crescono, impegnate a promuovere i propri campioncini, guardi alle migliori esperienze della Rai, sebbene ormai remote. Credo di poter dire che il nome di Cino Tortorella risuoni emblematico di un'idea di televisione da recuperare, rimpianta non solo da quelle poche decine di telesaudadisti aderenti all'associazione culturale che rappresento, ma da più generazioni.
Una televisione che recuperi la sua mission di alfabetizzare e rialfabetizzare gli italiani, che si riappropri dello spirito che deve guidare un'azienda pubblica dunque svincolata dall'auditel e dalla preoccupazione di gareggiare con le emittenti concorrenti solo per salvaguardare la sua elefantiasi, che svolga la sua funzione di informare all'insegna del pluralismo e di intrattenere in modo intelligente. A proposito di intelligenza, non so se ha avuto modo di leggere, preso com'è dai suoi impegni di premier, la notizia recente secondo la quale a Phoenix, in Arizona, è stata recentemente fondata una nuova disciplina che studia le reazioni della mente umana rispetto ai fenomeni apparentemente irrazionali. Pare che l'intelligenza non possa fare a meno di farsi sedurre dalla magia.
Lei che è una persona indubbiamente intelligente, Presidente Monti, cosa aspetta a farsi suggestionare dall'idea di ricorrere al vecchio Mago Zurlì per voltare pagina e far ritrovare alla Rai la giusta direzione di marcia. Sarebbe, mi creda, una svolta epocale.
* l'autore è presidente del Movimento Telesaudadista