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Una moratoria per i tagli Rai

di Vincenzo Vita

Dopo un anno di ten­ta­tivi di Ri-mediamo, che pos­siamo dire? Che la par con­di­cio è morta e il resto dei media non sta bene. Nel salotto di Bruno Vespa si cele­bra il fune­rale della povera legge del 2000, che esclu­deva pro­prio la pos­si­bi­lità di ridurre il con­fronto ai soli tre lea­der delle forze più grandi. L’Autorità per le garan­zie nelle comu­ni­ca­zioni fa come don Abbondio?

Il decreto Irpef, quello reso famoso dagli 80 euro, è in fase di discus­sione e se ne pre­vede la rapida appro­va­zione. Hit­ch­cock andrebbe in pen­sione. Il governo Renzi ha lì intro­dotto, come è stato ampia­mente sot­to­li­neato da una bella assem­blea pro­mossa dal sin­da­cato dei gior­na­li­sti della Rai, un arti­colo da car­tel­lino rosso sul ser­vi­zio pub­blico. Trat­tasi del con­cla­mato taglio di 150 milioni di euro, cui si aggiunge in con­tro­luce il subli­mi­nale invito a met­tere sul mer­cato quote di Rai-Way. Una con­so­li­data giu­ri­spru­denza della Corte costi­tu­zio­nale esclude che l’esecutivo abbia simili facoltà, essendo l’azienda a con­trollo ed indi­rizzo par­la­men­tari. Inten­dia­moci. Di fronte all’iniziativa del governo, ruvida tanto nella sostanza quanto nell’accidente, è auspi­ca­bile che si deter­mi­nino rispo­ste né banali né difensive.

Il sistema dei media ita­liano ha una sto­ria di orrori, cen­sure (non per caso siamo al 57° posto per il tasso di libertà di infor­ma­zione), con­flitti di inte­ressi, assenza di nor­ma­tive anti­trust strin­genti. La riforma della Rai, imma­gi­nata come hol­ding pub­blica aperta a ven­ta­glio sui diversi seg­menti della cross­me­dia­lità, fu messa in can­tiere diciotto anni fa e il dise­gno di legge che rac­chiu­deva le scelte di moder­niz­za­zione e affran­ca­mento dal mondo poli­tico –ddl n.1138– per­corse come una via cru­cis le tappe degli anni dei governi Prodi-D’Alema-Amato. Fino all’insabbiamento finale dovuto all’ostruzionismo delle destre e alle divi­sioni del cen­tro­si­ni­stra. Segui­rono vari ten­ta­tivi, che si rin­trac­ciano in nume­rosi testi depo­si­tati nelle legi­sla­ture suc­ces­sive, tra i quali è utile ricor­dare il testo depo­si­tato da Tana De Zulueta. A quest’ultimo, misce­lato con i coevi arti­co­lati Giu­lietti e Zac­ca­ria, si è ispi­rato il pre­ge­vole arti­co­lato messo a punto dal «Move On», ora a dispo­si­zione della discus­sione. Ecco, lì si trova un reale embrione di una linea alter­na­tiva a quella pre­va­lente, fatta di (s)vendite e di tagli.

Alle sma­nie pri­va­tiz­za­trici, non­ché alla dimi­nu­tio del ruolo pub­blico, la rispo­sta ade­guata non è la mera bar­riera difen­siva, bensì un’altra idea di Rai. Bene comune, luogo di accesso libero e demo­cra­tico alla società dell’informazione. Motore di un uni­verso gover­nato da un con­si­glio di garan­zia in cui abbiano un peso deter­mi­nante gli utenti: cit­ta­dini e non tele-corpi. E con la pos­si­bi­lità per tutti di poter ricor­rere al giu­dice per tute­lare i diritti. Via i par­titi dalla Rai, ha ripe­tuto anche Mat­teo Renzi. Ottimo, e via anche lobby e salotti, gruppi e cir­coli di potere. Si risparmi sugli appalti, non sulla dislo­ca­zione ter­ri­to­riale. Sui com­pensi– in molti casi assurdi– e non sulla pro­prietà pub­blica degli impianti.

Insomma, i poli dia­let­tici non sono gli inno­va­tori e i con­ser­va­tori. Sono, piut­to­sto, la tri­stezza dei ridi­men­sio­na­menti reces­sivi da una parte, un nuovo spi­rito rifor­ma­tore dall’altra. Si discuta in maniera tra­spa­rente, come ha pro­po­sto «Arti­colo 21 e come fa la Bbc», dei con­te­nuti del rin­novo della con­ces­sione con lo stato. Insomma, la vicenda della Rai merita di assur­gere al livello che merita, di que­stione demo­cra­tica, non di pura con­ta­bi­lità. Ecco. Non si può imma­gi­nare una mora­to­ria dei tagli, per illu­mi­nare la strada da prendere?

da Il Manifesto

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