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Lo Stato delle cose. Nostre

Nel film della Guzzanti un'accurata ricostruzione di come e perché uomini delle istituzioni trattarono con i picciotti

di Roberta Ronconi

In cosa consiste la trattativa Stato-mafia di cui in Italia si sussurra da decenni e che ora si può tranquillamente nominare ad alta voce, tanto abbiamo altro a cui pensare? Che c’entra il presidente Napolitano, che in materia dovrà deporre il 28 ottobre, e perché Riina e Bagarella chiedono di essere presenti? Qualcuno di voi – comuni lettori, come me – è mai riuscito a mettere insieme le morti di Falcone e Borsellino, l’omicidio di Lima, le bombe del ’93-’94, il ruolo dei giudici, Vito Ciancimino e il figlio, tutta la partita Dell’Utri, la posizione dei Ros, quella della Dia, Martelli, Giancarlo Caselli, il ritardo di anni nelle catture di Riina e Bagarella, il ruolo del Sisde…

E soprattutto, soprattutto, quanti di voi hanno mai sentito nominare Luigi Ilardo?

“La Trattativa” di Sabina Guzzanti offre un’ipotesi, annoda fili, crea collegamenti in modo tale che – alla fine – i vari pezzi formino un’unica collana. Sin dall’inizio – o quasi – l’autrice ci svela che l’operazione è frutto di commedianti. Che, si sa, recitano. Sappiate però che, in questa messinscena, le battute e i tempi storici delle battute non sono originali, bensì copiati dalla realtà (che non è la verità. E’ la realtà soggettiva dei veri protagonisti).
Ispirata da un corto di Elio Petri (“Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli”), Sabina Guzzanti costruisce una docu-fiction in cui personaggi e interpreti si scambiano di posto, si svelano e velano continuamente al pubblico. Ogni tanto gigioneggiano (soprattutto lei, Sabina, nelle magnifiche parti che si è riservata), del resto son menestrelli.

Con la fotografia di Daniele Ciprì, il montaggio di Luca Benedetti, le musiche di Nicola Piovani, Guzzanti riesce in un’operazione straordinaria. Ci racconta una storia, ci ricostruisce una possibile verità (basandosi sempre sui fatti), ci meraviglia, ci indispone, ci terrorizza, ci toglie speranza e soprattutto ce la restituisce. Sì perché se in Italia esistono persone come Luigi Ilardo (un pentito di mafia di cui vale la pena andarsi a cercare la storia) o come questo gruppo di attori (tra cui Enzo Lombardo, Sabino Civilleri, Filippo Luna, tutti straordinari) che decide di unirsi e cercare di aiutare il proprio paese svelandone le più gravi malattie. Se in Italia, dicevamo, esiste questo cinema e questo coraggio, allora la speranza c’è.

Ps: Il film non ha ricevuto un euro di finanziamento statale, e non è stato nemmeno giudicato “di interesse culturale”, al contrario dei film di Vanzina e Neri Parenti.
Il film è esplosivo, eppure sui media – a parte l’ospitata da Santoro – non ha fatto bum.
Il film è bellissimo, però la critica ha storto la bocca. Non sono riuscita a capire bene perché.
Sabina Guzzanti – mi ripeto, anche se non gliene frega giustamente a nessuno – non mi sta simpatica. La trovo saccente e arrogante come Travaglio. Ma ha fatto un lavoro straordinario ed in questo caso è anche bravissima come autrice. Ha scelto per sé toni sommessi e chiari.
Se non lo vedete, vi perdete davvero una grande occasione di capire. O almeno di provarci.

da www.articolo21.org

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