Quando era Prefetto della Congregazione della Fede, Joseph Ratzinger si impegnò a tacitare lo scandalo della pedofilia esploso nel Stati Uniti. Era il suo compito istituzionale, perché lui era il “guardiano” della fede cattolica. Bisogna ricordare che le numerose class action intentate dalle vittime degli abusi sessuali negli Usa costarono alla Chiesa cattolica americana centinaia di migliaia di dollari per i risarcimenti alle vittime. Bisogna anche ricordare che un alto prelato, condannato al carcere da un tribunale americano, fu brutalmente assassinato: un detenuto, membro dell’Alleanza Bianca, una gang cristiana presente nelle carceri americane, lo sgozzò sotto la doccia. Lo scandalo della pedofilia dei preti cattolici negli Usa sembrò sopirsi, perché Ratzinger, convocato da un tribunale americano, nel frattempo fu eletto Papa Benedetto XVI. Per tanto, in qualità di capo di stato straniero, al secolo lo Stato del Vaticano, non era convocabile, per “legittimo impedimento”.
Però, lo scandalo della pedofilia ha continuato a covare sotto “il Soglio Pontificio.” Se come “guardiano” della fede poteva essere, se non giustificabile, almeno comprensibile, l’atteggiamento di Ratzinger, al contrario come capo della Chiesa, Vicario di Cristo e capo di Stato, no! Ci si sarebbe aspettato che, in virtù dei poteri conferitigli, Benedetto XVI facesse una profonda pulizia. Così non è stato.
Da sotto la cenere è divampato di nuovo l’incendio della scandalo, questa volta in Irlanda. Qui le fiamme sono divampate senza barriere antincendio. E le parole di condanna del clero irlandese di Benedetto XVI, invece che essere acqua, sono risultate benzina sul fuoco: “condannare il peccato, assolvere il peccatore” è suonata una imperdonabile beffa. Il silenzio su tutta la vicenda durante la benedizione “Urbi et orbi” di Pasqua una grave omissione di colpa. E siccome gli errori sono come le ciliegie, uno tira l’altro, i goffi tentati di paragonare la generale disapprovazione contro i comportamenti delle gerarchie vaticane alla persecuzione degli Ebrei hanno rinfocolato ancora di più le polemiche.
Fino alle ingenue ma lapidarie parole di un ragazzo gay, che sposandosi col suo compagno a Genova ha semplicemente detto: “La chiesa dovrebbe stringersi attorno alle vittime degli abusi, non attorno al Papa”. Non suoni qui blasfemo dire: parole sante.
Adesso che si stanno “scoprendo altarini” un po’ dovunque nel mondo, ultimo in Norvegia, la domanda è semplice: quel “legittimo impedimento” che impedì a Ratzinger di presentarsi di fronte a una corte di giustizia americana non era forse lo stesso che avrebbe dovuto impedirgli di varcare il Soglio Pontificio? Le analogie con un altro “legittimo impedimento” sono le stesse che riguardano un noto politico italiano: c’è un complotto per impedire all’uno di governare un paese e l’altro di governare la Chiesa Cattolica? Bisogna invocare l’impunità, attraverso il legittimo impedimento? Oppure l’impedimento era legittimo fin dal principio?
di Marco Ferri