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Le altre afriche

di Uliana Guarnaccia* e Annamaria Valentino**

Il 2009 è stato l’anno più doloroso della crisi economica per l’occidente e ha avuto effetti collaterali diversificati nelle altre parti del mondo., In particolare, da parte delle regioni dell’Africa sub-sahariana, a causa di una notevole contrazione delle importazioni dalle aree occidentali. Secondo il Regional Economic Outlook (FMI, ottobre 2009), nel continente africano i disagi cominciano a farsi sentire tra la fine del 2007 e il 2008 con l’aumento del prezzo del petrolio e dei prodotti alimentari che portano a un drastico ridimensionamento dei margini di benessere, in continua salita dal 2002, fino a raggiungere nel 2007 il 6,5 del PIL.

È durante questi cinque anni di crescita positiva che nelle regioni meridionali del continente si avviano riforme economiche e si mettono in cantiere progetti infrastrutturali, mentre aumenta la spesa sociale in sintonia con alcuni processi di integrazione regionale. Oggi il rischio è di accentuare un’asimmetria delle regioni africane in termini di potere economico e di autonomia politica rispetto a quei paesi che già investono (Cina, Giappone, India) o che intendono consolidare le partnership (Europa).

Ma esistono molte Afriche anche nel contesto economico della crisi: alcune come Tanzania, Zaire, Ghana rilanciano una crescita al 4,1% già dal 2010, altre come il Sud Africa ne rallentano i ritmi perché più esposte alla turbolenza internazionale.

È però la prima volta, tra il 2002 e il 2009, che alcune regioni “inventano” politiche attive di stimolazione dell’economia e arrivano a volte, a compensare la stagnazione delle rimesse dei migranti, a volte a rilanciare gli investimenti esteri diretti, a volte a mettere da parte riserve valutarie che possono tornare utili in tempi difficili. Sul piano della visione federalista, l’Africa può ancora valorizzare le molteplici sovranità con una struttura composita che in parte richiama l’Europa.

L’Unione Africana ha dunque un compito interessante, quello di darsi una base regionale prima con obiettivi più tecnici come la circolazione monetaria e il mercato comune, poi con valutazioni strategiche come le risorse energetiche, i cambiamenti climatici, le infrastrutture materiali e immateriali. L’Europa rimane esposta a critiche da parte di chi all’interno dell’area a sud del Sahara, vorrebbe una sua più attiva partecipazione ai processi di integrazione economica e di mutuazione di buone pratiche di sviluppo locale. Fuori da una logica di mero assistenzialismo, vediamo come disattivare le logiche di omologazione a un modello unico occidentale per far emergere le Afriche plurali.

(il saggio completo sulla rivista ‘Mezzogiorno Europa’, marzo/aprile 2010)

* Archeologa e Responsabile Area Comunicazione Fondazione Mezzogiorno Europa.
** Docente di “Storia contemporanea” - Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.

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