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Savorengo Ker, diario di un sogno di autocostruzione

di Azzurra Muzzonigro

Sono passati oramai due anni dal cantiere della Casa di Tutti, in lingua Romanés “Savorengo Ker”, e ora che al posto delle assi di legno, chiodi, martelli, urla e schiamazzi di bambini che riempivano di vita e di speranza quello che era il campo Rom “Casilino 900”, ora che in quello stesso luogo regnano silenzio e “pulizia” – e attesa, aggiungerei, per le speculazioni a venire - ci si chiede cosa resta di quel sogno che è stato Savorengo Ker.

Tutto è cominciato da una domanda: possibile che al costo di un container –unica soluzione abitativa offerta oggi ai Rom a Roma- non si possa pensare qualcosa di architettonicamente pregevole, tecnicamente prestante e culturalmente accettabile sia dai rom che dai gadjè (non-rom)? Ricordiamolo poi cosa è un container: un’abitazione priva dell’abitabilità, con pareti spesse pochi millimetri, pensata come ricovero provvisorio e d’emergenza, troppo piccola per le famiglie allargate, troppo rigida per poterla personalizzare, troppo calda d’estate, troppo fredda d’inverno.

Da quella domanda è nato un progetto di ricerca attivato da Stalker/Osservatorio Nomade, insieme a diverse comunità rom di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Urbani della Facoltà di Architettura di Roma Tre ed altre organizzazioni cittadine, nazionali e internazionali. In questo gruppo di lavoro c’ero anche io, che studio architettura a Roma Tre, e perciò posso raccontarvi come è andata. Innanzitutto vi dico che i Rom di Casilino 900 hanno accettato subito la nostra sfida: si sono messi al lavoro, mettendo a disposizione le loro abilità tecniche, di costruttori e progettisti delle loro case, per dar vita ad un cantiere di autocostruzione di straordinaria vitalità.

Certo, le difficoltà non sono mancate. Lavorare all’interno di un campo Rom spontaneo significa avere a che fare con persone in molti casi sopraffatte dalla totale assenza di riconoscimento, diritti e quindi di fatto impossibilitate ad intraprendere qualsiasi percorso di integrazione.
Varcarne la soglia significa decidere di entrare in contatto con questa realtà.

Da questo punto di vista Savorengo Ker è stata una casa sperimentale, la costruzione non soltanto di una abitazione, ma di un processo aperto e indeterminato, dagli esiti finali incerti. È stata il frutto dell’incontro tra due culture diverse che hanno deciso di mettersi in gioco e di decidere insieme, e sul campo, quali fossero le regole comuni. Inoltre Savorengo Ker ha voluto dimostrare che la competenza tecnologica degli abitanti-autocostruttori di case, unita a quella professionale di architetti, avrebbero permesso di rompere il circolo vizioso di povertà ed illegalità mettendo in grado la comunità rom di proporre in prima persona una soluzione al proprio disagio abitativo, rispondente alle proprie esigenze.

Questo ribaltamento di prospettiva è stato uno degli aspetti più innovativi del progetto: non sono stati gli architetti a imporre un proprio modello di casa, ma sono stati i Rom stessi ad esprimere i loro desideri abitativi, a cui gli architetti hanno poi dato una sintesi. Tale processo progettuale presuppone un’attenta osservazione e studio delle esigenze abitative della comunità, sia in termini di qualità spaziale che di relazioni, e successivamente la loro traduzione in progetto, con la costante ed attiva partecipazione dei futuri abitanti ed auto-costruttori. Così, dopo 20 giorni di lavoro è nata Savorengo Ker, subito ribattezzata la “baracca con i documenti”: una vera e propria casa in legno, disposta su due piani, con le pareti coibentate, tre stanze da letto, bagno, cucina, soggiorno e veranda, per un totale di 70 mq. Il costo:8.000 euro di materiali e 11.000 euro di manodopera. Una casa ecologica, sicura ed energeticamente sostenibile.

Purtroppo, al momento dell’inaugurazione, le cose non sono andate come avrebbero dovuto. Alcune irregolarità riscontrate nelle autorizzazioni hanno impedito ad importanti esponenti istituzionali che erano stati invitati -quali il sindaco Alemanno, il prefetto all’emergenza Rom, il presidente del Municipio- di sostenere con la loro presenza l’intraprendenza dei Rom, la loro forza nel proporre, una soluzione piuttosto che un problema, la loro determinazione nel voler intraprendere un percorso nuovo che tenti di dare un futuro diverso ai loro figli.

In una notte piovosa di dicembre, poi, un ardente fuoco -difficile considerarlo di natura accidentale- ha bruciato le assi di legno che componevano la casa. Ma non ha mandato in cenere quello Savorengo Ker ha rappresentato: la forza della collaborazione, e la dimostrazione che insieme è possibile immaginare e costruire un futuro diverso.

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