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IL SILENZIO DOPO LO SPETTACOLO

Anteprima a Roma del docufilm di Walter Nanni e Giuseppe Caporale “E’ colpa nostra”, sul terremoto a L’Aquila

Cosa ha fatto di un terremoto di modesta portata (5,8 gradi della scala Richter) che altrove, in Giappone per esempio, avrebbe procurato danni minimi, una catastrofe?
Per rispondere a questa domanda, Giuseppe Caporale, giornalista di La Repubblica, primo cronista ad entrare all’Aquila dopo il terremoto, è tornato in Abruzzo, nelle zone colpite dal sisma. Il risultato della sua inchiesta giornalistica è il film-documentario “Colpa Nostra”, regia di Walter Nanni, presentato martedì 22 giugno presso il Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma.

La tesi di Caporale è la seguente: i responsabili del terremoto siamo noi. Corollario: è stato il persistente sciame sismico dell’illegalità diffusa a condurci a questa che era una tragedia annunciata.

Per dimostrarlo, Caporale divide il film esattamente a metà. La prima parte è un viaggio a ritroso nel tempo che tra carte giudiziarie, sentenze di tribunali, interviste ai personaggi direttamente coinvolti nelle vicende abruzzesi di ordinario mal governo, accompagna lo spettatore dritto al cuore del vizio italiano: il malcostume, la corruzione, il cinismo di una classe politica che da troppo tempo, forse da sempre, ha fatto della cosa pubblica un affare privato.

Da qui il primo potente terremoto che devasta l’Abruzzo: la mattina del 14 luglio del 2008: Ottaviano Del Turco (Pd) presidente della Regione, alla guida di una giunta di centrosinistra, è arrestato con le accuse di associazione a delinquere, truffa, corruzione e concussione per gestione privata della sanità. Una bufera che azzera di colpo i vertici del potere in un momento in cui il centrosinistra aveva vinto tutto, Regione, Provincia, Comuni.

Ma attenzione, avverte Caporale, quella classe politica altro non è che lo specchio di noi stessi. Perché ci sono gli eletti, ma anche gli elettori, e in democrazia nessuno può dirsi innocente.

Tutti complici, perciò. I grandi e lucrosi affari per pochi, figliano i piccoli affari per molti (e i problemi per tutti), mentre l’illegalità diffusa è quel grande mare in cui ognuno spera un giorno di trovare una sua piccola, personale sponda.

Dalle tangenti, poi, alla tragedia. Alle 3:32 del 6 aprile del 2009, è l’ora di un altro terremoto, quello vero: 308 morti, 65 mila sfollati, interi paesi cancellati, il centro storico dell’Aquila, con il suo tessuto sociale e il suo patrimonio artistico completamente distrutti.

Crollano le case costruite sui letti dei fiumi, con cemento depotenziato, senza pilastri. Si polverizzano gli edifici pubblici privi della agibilità. Sotto accusa tecnici corrotti e giunte comunali che all’unanimità approvano la declassificazione dell’Aquila nelle scale di rischio sismico, aprendo la strada alla speculazione edilizia. Fino ad arrivare alla cronaca recente della cricca, dei vari Bertolaso, Balducci e Anemone, sciacalli che raccolgono il testimone, e delle new town sorte alla periferie dell’Aquila: 185 edifici e 792 milioni di euro investiti per disgregare il tessuto sociale ed economico di una città.

A dimostrazione di come sia stato il primo terremoto ad annunciare il secondo, in un rapporto di causa/effetto che oramai non dovrebbe stupire più nessuno.

Difatti, il film si chiude con una precisazione: tutti i fatti raccontati sono pubblici. Sottotesto: sapevamo e sappiamo, ma non abbiamo fatto nulla.

Perché? Esiste nel dizionario medico una malattia singolare, l’agnosia visiva o cecità psichica. Chi ne è affetto vede gli oggetti ma non li riconosce. Né riesce ad attribuire loro un significato. E quando non siamo più in grado di assegnare un significato alle cose, ce lo ha detto Saramago in Cecità, perdiamo l’etica, il rispetto, la dignità, e ci consegniamo da soli alla violenza e al sopruso. E allora si, è colpa nostra.

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