Il patrimonio immobiliare, gli investimenti finanziari, il nuovo statuto: storia di un’oligarchia in cui i poveri finanziano i ricchi
Antonio Vanuzzo
Per dirla con Umberto Eco, chi si trova davanti alla Società italiana autori ed editori (Siae) ha il medesimo dilemma di Kant con l’ornitorinco. In teoria l’ente dovrebbe occuparsi di proteggere il diritto d’autore e remunerare adeguatamente le opere dell’intelletto. In pratica fa molto di più: ispezione e riscossione tributaria, gestione di partecipazioni finanziarie e immobiliari, vendita di dati, servizi di consulenza e chi più ne ha più ne metta. In una parola: un carrozzone. Commissariato la prima volta nel ’99, viene affidato a Mauro Masi, ex direttore generale Rai ora numero uno di Consap. Poi è la volta dell’interregno di Giorgio Assumma, docente esperto di diritto d’autore che resiste per cinque anni, fino al 2010: le faide insanabili tra l’anima autorale e gli interessi degli editori non consentono all’ente di chiudere il bilancio. Arriva un nuovo commissario, il 90enne Gian Luigi Rondi, la Siae cambia lo Statuto e nomina Gino Paoli alla presidenza.