L'ultima scena: House e Wilson se ne vanno via in motocicletta, dentro le note swing di Enjoy Yourself, "divertiti che non è rimasto troppo tempo". Sorridono, i due amici, mentre affrontano la strada. Sono felici ma non è un lieto fine: dietro la curva nessuno dei due troverà un grande futuro.
Ciao House, il dottore più stronzo chiude qui, ultima puntata, non ci sarà la nona stagione, gli autori si risparmiano la consunzione di un personaggio che è ormai certo del suo posto nella storia della televisione.
Ci ha imbrogliato fin dall’inizio: è entrato in casa nostra con quel nome così domestico - House: il dottor Casa, appunto - e si è accomodato in soggiorno con l’indole selvaggia e il frasario scandaloso.
Con la sua andatura zoppicante, l’aspetto trascurato, le occhiaie da malato, gli schemi di pensiero che corteggiavano i bassi istinti, la mancanza disarmante di quell’ipocrisia che abita le corsie d’ospedale, per circondare di umanità una zona fra la vita e la morte.
Il pubblico è ben disposto verso i dottori perché in fondo loro sono le figure più fiabesche della televisione, un cartone animato per tipi ormai adulti e preoccupati, sono eroi che sconfiggono il male, esattamente come farebbe Ufo Robot, e impediscono alla “mostruosa” morte di arrivare, “surgelando” la vita, così come Mazinga preservava l’universo dalla distruzione.
Per questo i medical drama hanno sempre avuto successo. Ma questi semidei si proponevano all’immaginario collettivo come belli, puliti, sentimentali, educati, giusti, morali.
Il dr Kildare aveva il volto di un principe azzurro, Richard Chamberlain. E per restare ai tempi nostri, Greys Anatomy e E.R. - altri successi enormi - offrono un campionario di bravi ragazzi che potrebbero riciclarsi nella pubblicità di un dopobarba.
Gregory House è stato altro.
Lo ha raccontato Hugh Laurie, attore e musicista inglese dal volto aspro, occhi azzurri e grandi, nato ricco e malaticcio, «e anche un po’ depresso», ammise. Dottore da 400 mila dollari a puntata, onorario per curarci la malattia più tignosa da togliere via: il pregiudizio. Su di lui sono stati scritti saggi di riflessioni sparse, dalla filosofia alla religione, così ripetutamente e spavaldamente messa in ridicolo.
Gli autori vollero un medico che dovesse anzitutto fronteggiare il dolore in sé: per 177 puntate House soffre per il muscolo quadricipite della gamba destra divorato da un errore medico e una necrosi dei tessuti nervosi che lo bracca con un dolore cronico. Per sopportarlo s’impasticca a volontà con il Vicodin, antidolorifico a base oppiacea. Ne è dipendente come qualsiasi drogato. Dunque il nostro paladino del bene si presenta storpio, con il bastone e tossico (omaggio a Sherlock Holmes e al suo dosaggio quotidiano di cocaina). Ecco sfatato il primo tabù: dov’è che alligna il più recondito e inammissibile dei pregiudizi, se non nell’aspetto fisico, nella bella o brutta presenza, e nell’affidabilità di un uomo ligio alle regole
House ha una piccola equipe e svolge un compito di “nicchia”: diagnostica i casi irrisolti, sfuggiti dall’ordinario. David Shore, il creatore della serie, s’illuminò leggendo una rubrica sul New Yorker Magazine dedicata proprio ai casi medici insoliti pescati nella realtà. Un sostegno empirico tipico degli americani: l’Ama - associazione dei medici statunitensi - ha sempre cercato di difendere l’immagine del medico, vincolando per molti anni la Nbc e l’Abc al diritto di revisionare testi e immagini in nome dell’accuratezza medica.
Il capobanda è cinico, curioso, cattivo: maltratta i suoi assistenti, mostrando - naturalmente - il vantaggio pratico e pedante di questa ruvidezza. Il gruppo si è modellato strada facendo, ed è eterogeneo, un po’ ruffiano nell’assortimento pressoché completo: il belloccio, il nero, la dottoressa strappalacrime, la bella (e lesbica), il chirurgo plastico pentito, la cinese d’America bruttamageniale.
Il personaggio più importante è però James Wilson, l’oncologo, l’amico di House, l’opposto: non a caso nel loro (vero) confronto dialettico House trova spesso l’idea che risolve il caso. Lo interpreta Robert Sean Leonard, un signore particolare e pigro, che accettò il ruolo solo perché “limitato”, di spalla: 23 anni fa Leonard fu il ragazzo suicida dell’indimenticabile L’attimo fuggente (citato nell’ultima puntata). Il rapporto discontinuo ma profondo fra i due amici è il filo che lega tutte le serie.
Questa è l’altra novità: non è una storia d’amore che trascina la parte privata, ma una relazione di amicizia. L’amore c’è, sempre, in tutti i protagonisti, ma è fallimentare, per ognuno. Ogni tentativo di “famiglia” non guarisce, non cresce. È perfino tragico. Troppo spudorato e schietto è House per lasciarsi amare e saper vivere l’amore, con le sue concessioni, con le debolezze e corruzioni. "Everybody lies" è la sua più ripetuta massima: «Tutti mentono», e la sua ricerca della verità rovista anzitutto nelle menzogne.
Ma la grande questione che è sfondo di molti casi clinici, e aleggia su tutta la serie, è il rapporto con Dio. Ogni volta che la religione s’insinua attorno al letto di un paziente, House comincia la battaglia. Fosse dialettica fra scienza e Dio, l’avrebbe liquidata Chase, l’assistente belloccio e religioso «ma pronto a lasciare Dio fuori dalla sala operatoria ». House, laico, «non crede» e cerca argomenti e sentimenti per affermare la dannosità della religione, per proteggere l’uomo da Dio, per esaltare la dignità della vita, e non dell’aldilà.
Si spinge in quest’urlo mai udito in prima serata, così «stonato » epperò ascoltato ovunque, se è vero che è il telefilm più visto nella storia televisiva del pianeta (in Italia secondo solo a E.R.), trasmesso in 66 Paesi, vincitore di tutti i premi, capace in Usa di catturare 29 milioni di persone in una sola puntata, nella quarta stagione, Frozen: record imbattibile. Non lo vedremo più un dottore così, un vandalo drogato che scrocca il pranzo a tutti, usa le persone per puro egocentrismo, calpesta l’amore e va con le prostitute. Non cercate una morale: non c’è. Ma qualsiasi cosa abbiate, non è lupus.
da www.unita.it