Va esplicitamente chiarendosi il progetto politico di Viktor Orbàn, il primo ministro ungherese saldamente al potere dal 2010 grazie ai due terzi dei seggi in Parlamento ottenuti dal suo partito Fidesz. Dopo il varo di una legge liberticida sui media, la drastica riduzione dei diritti sindacali e l'approvazione di una nuova Costituzione nazionalista e confessionale,
"Viktator" - come lo chiamano le opposizioni - ha esternato i suoi disegni il 27 agosto scorso intervenendo presso la Confindustria magiara: «Noi speriamo che non sia necessario introdurre un nuovo sistema che rimpiazzi la democrazia» ha detto, «ma abbiamo bisogno di nuovi sistemi economici e di nuove idee»; aggiungendo: «L'unità nazionale non è questione di volontà, è questione di forza: essa non esclude consultazione e dibattito ma non li rende necessari». La democrazia come optional, insomma.
L'Ungheria come la Bielorussia di Lukashenko? O come la Russia di Putin (di cui Orbàn si è sempre dichiarato fervido ammiratore)? L'impressione è che dietro le «nuove idee» aleggi inconfondibile il fantasma di Miklos Horthy, il dittatore ungherese antisemita e fedele alleato di Hitler fino al 1944.
Malgrado il commissariamento della Banca Centrale Ungherese, colpevole di eccessiva indipendenza nei confronti del Governo, la situazione economico-finanziaria del paese appare drammatica, al limite della bancarotta, benché naturalmente negata dal Viktator. Il negoziato col Fondo monetario internazionale alla ricerca di aiuti per non finire in default è stato, però, avviato: chissà se qualcuno al Fmi ha preso atto delle inquietanti dichiarazioni del premier? Che, nel frattempo, dedica con disinvoltura statue e piazze all'ammiraglio Horthy, militare filonazista .