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Calcio, la prossima volta ci vuole un arbitro tedesco - di Antonio Mango

“Partita gagliarda”, l’aveva definita Francesco Repice. Quella della Juve a Pechino era stata una partita gagliarda. Per questo aveva vinto. Il telecronista Rai opta per il commento tecnico. Ma la Juve non ci sta. Vuole di più e il popolo bianconero bolla come scandalosa la cronaca di stato. “E’ stata pro-Napoli”, dice.

Intanto, era appena finita la mattanza: rigore dubbio assegnato ai bianconeri, ammonizioni a senso unico e tre espulsioni per i napoletani. Partita finita.
Buffon alza la coppa. Ma è amareggiato, come i suoi compagni tra i coriandoli,

Marotta in tribuna e Conte a telefono. Il Napoli non ha partecipato alla felicità bianconera (scandalo!) e, altro dispiacere, c’è stato qualcuno che ha fatto semplicemente cronaca. In moviola, infatti, la cinquina arbitrale, guidata da Mazzoleni, ha sbagliato di tutto e di più. Timidamente qualche cronista l’ha detto. Merce rara. Secondo i tifosi napoletani (peccato che siano soli) la cinquina ha regalato la partita alla Juve. Punto.

Qui finisce la partita e si apre un’altra questione. Ma che razza di paese è quello in cui si nega sistematicamente l’evidenza? E’ come dire che non ci sono i disoccupati, che Berlusconi vive in un convento, che Bersani non è emiliano, che la Santanchè va a mangiare alla mensa dei poveri, che Monti non si è laureato. Che Fassina è un liberista e che Oscar Giannino è statalista e keynesiano. E’ come dire che tutto ciò che si vede non è vero, ma è vero il contrario.

L’arbitro prende cinque abbagli pro Juve e la Juve protesta perché i cinque “errori” (che si vedono) sono cinque cose esatte (che non si vedono). E, per giunta, sale l’indignazione perché la cronaca (i fatti) non racconta quello che il popolo dovrebbe pensare (la Juve è la squadra più simpatica del mondo).
Fino a poco tempo fa la crisi non c’era perché i ristoranti erano pieni. Ruby era la nipote di Mubarak. La Minetti un’intellettuale poco valorizzata.

La partita della Juve è come uno stralcio di politica fantasy. Quella che ha preceduto la politica austerity del professore. La realtà non è quella che si vede, ma la sua negazione. Che una squadra (un governo) possa pretendere di negare l’evidenza e di fare pure la vittima se la vera vittima s’incazza, si capisce, non fosse altro perché siamo degli habitué. Che un osservatore di mestiere (i giornalisti?) debba far finta che il trucco non c’è e gridare allo scandalo se la cavia non ci sta fa incazzare ancora di più.

Perché dai cronisti non te l’aspetti, perché nei media il pensiero unico è ancora più antipatico, perché il familismo editoriale disunisce l’Italia.

Se Ruby non è nipote di Mubarak va detto. Punto. Poi, siamo tutti abilitati a discutere. Mazzoleni e il suo plotone di collaboratori hanno sbagliato sì o no? Anche questo va detto, prima di sacramentare su tattiche, meriti e demeriti sportivi. Le due cose non sono così distanti tra loro. La crisi pare che ci sia, passato il fantastico racconto del Cavaliere al ristorante. Sarebbe ora che anche nel calcio si uscisse fuori dai ristoranti immaginari e si dichiarasse lo stato di crisi. Fate presto! Non ci costringete a chiamare un arbitro tedesco.

( nostro servizio )

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