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TV, ecco come la Grecia ha cancellato il servizio pubblico

Sciopero generale contro la decisione del governo di destra

Sciopero generale oggi in Grecia contro la decisione del governo greco di chiudere a sorpresa la televisione pubblica Ert. Ad incrociare le braccia saranno in particolare agli addetti dei trasporti pubblici e degli uffici pubblici. Nel pomeriggio, tra le 15 e le 17, sciopereranno i controllori di volo, creando disagi e ritardi anche per i voli internazionali, mentre quelli interni sono a rischio per tutte le cinque ore in cui incroceranno le braccia, a partire a mezzogiorno, i dipendenti dell'aviazione civile.

Si prevede un servizio ridotto per treni, autobus e la metropolitana di Atene. Chiusi anche gli uffici del Fisco, scuole e ridotto il personale negli ospedali. Continua intanto lo sciopero dei giornalisti delle televisioni e radio private e della carta stampa in solidarietà con i colleghi di Ert. Mentre per oggi i principali sindacati del settore pubblico e privato hanno convocato per mezzogiorno una manifestazione di fronte al quartier generale della Ert di Atene.

Così Pino Bruno ne parla sul sito dell'USIGRAI con il corrispondente italiano:

“Per tutti noi è stato un fulmine a ciel sereno. Nessuno se lo aspettava e, soprattutto, si aspettava una decisione così drastica. Persino durante la seconda guerra mondiale la radio pubblica ha continuato a trasmettere. Persino dopo il colpo di stato dei ‘Colonnelli’ la tv pubblica non è stata oscurata”. Così racconta al telefono il giornalista Dimitri Deliolanes, corrispondente dall’Italia della Ellinikí Radiofonía Tileórasi (ERT), il servizio radiotelevisivo pubblico greco “spento” ieri sera per decisione del governo.

“Siamo stati tutti licenziati senza preavviso – aggiunge Deliolanes – senza ricevere prima neanche una lettera, una eMail o una telefonata. Credo che non ci siano precedenti al mondo. Adesso la Grecia è il solo paese dell’Unione Europea senza un servizio pubblico radiotelevisivo”.

Qual è stato secondo te il fattore scatenante della decisione?

“Il Governo doveva licenziare duemila dipendenti statali entro giugno, nell’ambito del piano di ristrutturazione della Pubblica Amministrazione. Hanno deciso di liquidare la ERT per far vedere alla Troika che stanno svolgendo bene il compito. Siccome non hanno una visione strategica del settore, non hanno le idee chiare su come funzioni la macchina dello Stato, hanno deciso di cominciare con noi.

In realtà va sottolineato l’intreccio perverso tra l’emittenza privata e il potere politico. Tutti gli imprenditori che hanno investito nel settore radiotelevisivo privato fanno affari con lo Stato (appalti, forniture, eccetera). In cambio quelle stazioni radiotelevisive assicurano sostegno ai politici durante le campagne elettorali. Ecco, adesso il settore privato avrà il monopolio dell’informazione. Saranno loro a decidere cosa potrà o non potrà sapere il popolo greco”.

Ma la chiusura sarà solo temporanea, assicura il governo. C’è già il nome della nuova azienda: Nerit…

“Non potevano fare altrimenti, perché in Grecia è la stessa Carta Costituzionale a garantire l’esistenza di un servizio radiotelevisivo pubblico. Perché non presentare allora un progetto di riforma della ERT, con un piano di snellimento degli organici e riduzione dei costi? Perché licenziare tutti in tronco e poi chiedere di far domanda per lavorare nella nuova azienda? Per avere carta bianca su tutto e su tutti, senza una trattativa con i sindacati. E’ un progetto incomprensibile”.

Già, i costi, gli sprechi. Il governo dice che è questo il motivo della chiusura e dei licenziamenti. Non è vero?

“Il portavoce del governo, Simos Kedikoglou, ha affermato che ERT costa sette volte le altre tv del paese e ha tre o quattro volte il loro personale. Come mai? Chi ha nominato il consiglio di amministrazione, il management e persino il direttore delle news? Chi ha deciso come e dove investire? La risposta è univoca: il governo e il potere politico. Se ci sono stati sprechi è facile individuare i responsabili. Solo che i loro errori adesso li paghiamo noi, i lavoratori”.

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