di Ugo G. Caruso *
Se n’è andato pochi giorni fa, com’era nell’ordine delle cose, ma la sua morte mi ha comunque addolorato perché per Piero Mazzarella provavo una simpatia ed una stima particolari. Forse perché ai miei occhi e certamente non solo ai miei, rappresentava più di ogni altro quella di Milano che non esiste più e dalla quale attraverso la televisione quelli della mia generazione si sono sentiti molto formati. Anni fa avrei voluto dedicare una serata telesaudadista alla Milano televisiva, ovviamente quella degli anni del bianco e nero, ma il progetto è cresciuto troppo fino a complicarsi e a diventare di difficile realizzazione. E comunque per il futuro non è detta l’ultima parola. Ovviamente nell’ampia antologia di artisti cui pensavo (Milly, Marcello Marchesi, Tino Carraro, Walter Chiari, Gino Bramieri, Franca Valeri, Gianrico Tedeschi, Strehler, Grassi, Carpi, Fo e Rame, Franco Parenti, Celentano, Gaber, Jannacci, Ornella Vanoni, I Gufi, Tino Scotti, Lia Zoppelli, Franco Volpi, Sandra Mondaini, Adriana Asti, Anna Maria Guarnieri, Giulia Lazzarini, Carla Fracci, Cochi e Renato e tantissimi altri) non sarebbe mancato un tributo affettuoso a quel magnifico milanesùn di Piero Mazzarella.
Doppiamente figlio d’arte, era nato per caso a Vercelli il 2 marzo 1928 da Saro Mazzarella, attore siciliano membro della compagnia di Angelo Musco e da Maria Masera , attrice milanese della compagnia di giro di Edoardo Ferravilla che del nostro, se vogliamo, può essere, considerato il predecessore. Insomma un predestinato, come tanti indizi stanno ad indicarci. Debutta bambino in teatro per dedicarsi alla rivista dopo la seconda guerra mondiale la presto, anche su consiglio di Edgar Biraghi, si sposta verso il teatro dialettale dal quale si sente sempre più attratto. D’altronde, già nel 1951 al Teatro Alcione aveva vestito con successo i panni di Tecoppa, la maschera milanese inventata proprio da Ferravilla e rimasta poi un suo cavallo di battaglia. Diventa così il mattatore della Compagnia Stabile Milanese e viene notato da Giorgio Strehler che lo dirige nel memorabile El nost Milan di Carlo Bertolazzi e con cui instaura un duraturo rapporto di stima e di amicizia. Innumerevoli le commedie che mette in scena nel giro dei locali milanesi come il Teatro Angelicum, registrando puntualmente i maggiori incassi della stagione (Viv con duu ghei di Rino Silveri, Cà de ringhiera di Jacopo Rodi, Tecoppa che fadiga minga lavurà!), senza negarsi occasionali incursioni nel Teatro classico, da Goldoni a Pirandello. Personalmente lo ricordo nel 2005 ne Il temporale di Strindberg, accanto a quella straordinaria collega e concittadina che è Giulia Lazzarini. Mi rimarrà invece il rimpianto di non averlo mai visto dal vivo alle prese con un testo dialettale,pur avendo più volte a Milano più volte sfiorato questa opportunità.
Al cinema è stata caratterista inconfondibile in commedie e musicarelli, invariabilmente di ambientazione milanese ma sta pure ne Il maestro di Vigevano di Elio Petri accanto ad un Alberto Sordi evidentemente “delocalizzato”. Mancato interprete per Fellini che lo avrebbe voluto prima in Amarcord e poi ne La voce della luna cui dovette rinunciare molto a malincuore per non lasciare senza lavoro gli altri membri della sua compagnia.
In televisione invece i telesaudadisti e gli spettatori di memoria lunga lo ricorderanno ne Il Mulino del Po (1963) di Sandro Bolchi, in Eleonora (1973) di Silverio Blasi con Giulietta Masina e Arabella (1980) di Salvatore Nocita con Maddalena Crippa. Milanesissimo che più non si può pure il divertente carosello per la Magneti Marelli diretto da Aldo Rossi e trasmesso nel biennio 1972-73 in cui l’attore è un tassista dal cuore d’oro che asseconda i desideri più bizzarri dei suoi passeggeri. L’anno dopo, nel 1974 sarà protagonista di una trasposizione del solito Tecoppa sul piccolo schermo. Proprio dando l’addio al suo personaggio dopo una serie di messe in scena di grande qualità al Teatro San Calimero e al Teatro Franco Parenti, ha modo di polemizzare con le nuove generazioni di attori, definendoli “ignoranti che al teatro preferiscono una qualsiasi stupidata fatta in televisione”. Difficile dargli torto ma ancora più difficile, secondo me, spiegarsi come dopo una vita così professionalmente intensa e costellata di tanti riconoscimenti, Mazzarella, sotto sfratto, attendesse di beneficiare della legge Bacchelli, stanco e deluso della sua Milano ormai irriconoscibile e senz’anima. Ma soprattutto corrucciato dalla consapevolezza di non avere un erede artistico cui trasmettere il grande patrimonio del teatro popolare meneghino. Anche a noi francamente sembra che tutte le grandi figure dello spettacolo in vari campi, dal cinema alla canzone, dal teatro alla televisione, siano destinate a non avere ricambio, lasciandoci così tristemente un panorama sempre più vuoto, omologato o mediocre.
* fondatore del Movimento Telesaudadista