di Ugo G. Caruso *
Il grande attore appena scomparso nel ricordo del fondatore del Movimento Telesaudadista.
Se n’è andato un protagonista della prima ora e tra i più carismatici della televisione che amiamo. Arnoldo Foà amava ripetere che “per essere un attore bisogna innanzitutto essere”. E non v’è dubbio che egli sia stato nel corso di quasi un secolo di vita un testimone del Novecento italiano. Dall’infanzia ferrarese all’apprendistato d’attore a Roma dove fu escluso dal CSC in quanto ebreo. Dall’identità fittizia di Puccio Gamma per sfuggire alle persecuzioni razziali al solenne annuncio radiofonico della fine della guerra con quella sua voce inconfondibile, grave, pastosa, profonda, intonata al profilo affilato e all’aria severa.
La sua attività teatrale per la quale nutriva la passione più forte non si può riassumere neppure per larghe linee, tanto è sterminata. In una lunga ed intensissima vita di palcoscenico ha incontrato tutti gli altri signori e signore della scena. Non potendo citarli tutti mi limiterò a ricordare che fu diretto da Strelher e Visconti, Squarzina e Ronconi, fino a Gabriele Vacis. Occasionalmente fu anche drammaturgo e regista senza mai abbandonare l’attività di doppiatore grazie alla sua voce riconoscibilissima.
Come a tanti grandi attori di teatro, il cinema non diede molte chances, cionondimeno Foà potè vantare nella propria filmografia le firme di Welles, Losey, Germi, etc. Per quanto ci compete direttamente, ovvero il piccolo schermo, lunghissimo sarebbe l’elenco della sua attività di prosa, a partire da Candida di G. B Shaw. Tra i tanti sceneggiati ricorderei Piccole donne, Capitan Fracassa, Nicola Nickleby, L’isola del tesoro, Il Giornalino di Giamburrasca, Le mie prigioni, La freccia nera, Marcovaldo, Le cinque giornate di Milano, Napoleone a Sant’Elena e tanti altri, senza dimenticare il faccia a faccia ne La chiusa con Maigret/Cervi, suo maestro-compagno di scena degli esordi. Attivo pure nell’era del colore della quale menzionerei I racconti del maresciallo (1984) e la parodia dei Promessi sposi (1985) ad opera del Quartetto Cetra, in cui recitò il ruolo dell’Innominato. Sempre incisivo, sia nel ruolo del gentiluomo che in quello del vilain, basti pensare a L’isola del tesoro e a La freccia nera, tanto per rimanere ad un autore come Robert Louis Stevenson.
Indimenticabili anche le sue presenze fuori dagli spazi della prosa come quando nel 1958 irruppe al Musichiere insieme ad Aroldo Tieri e Antonio Cifariello, protagonisti con lui del Nicola Nickleby, intonando e ballando l’aria de La vedova allegra “ E’scabroso le donne studiar” di fronte ad un divertitissimo Mario Riva, oppure quando nel 1969 a Speciale per voi, l’innovativo programma di Renzo Arbore, rimproverò severamente un gruppo di giovani insolenti e confusi, colpevoli di aver messo in discussione l’utilità della poesia recitata ed incisa su disco, al termine di una delle sue ricorrenti performances su Garcia Lorca. E a proposito di Spagna fu la voce narrante di Nel paese di Don Chisciotte, il documentario girato in occasione dello sfortunato tournage del film di Orson Welles per il quale aveva una sincera ammirazione. Grazie alla sua versatilità si calò disinvoltamente nei panni di entertainer conducendo ben tredici godibilissime puntate di Ieri e oggi nel 1973. Non disdegnò invero neppure la pubblicità o comunque al pari di tutti i personaggi più popolari dello spettacolo, vi cedette suo malgrado. Tanti i suoi caroselli, addirittura troppi per poterlo identificare con un solo prodotto, come accadde a molti suoi illustri colleghi: Vecchia Romagna (1959), Rasoio elettrico Remington (1964), Asti Cinzano (1965-1966), Detersivo Aiax (1968), Parmigiano Reggiano (1973-1974), Lavatrici Ignis (1976), Yogurt Yomo (1976). Per la serie del Parmigiano Reggiano che interpretò da emiliano doc, sul set furono scintille con il regista, Moraldo Rossi, tipo fumino, che mi mise in guardia rispetto alla proverbiale bruschezza di Foà. Tuttavia, costantemente a caccia di ospiti, temi, spunti e pretesti per le serate telesaudadiste realizzate sempre con formula da indipendenti, ovvero autofinanziate, no budget, cioè senza la possibilità di poter corrispondere agli intervenuti neppure un gettone o un rimborso, avvicinai Foà in tre occasioni. La prima fu a Roma, nel 2003, al Teatro Greco, al termine dello spettacolo Colpevole innocenza tratto dal testo di Ronald Harwood, lo stesso da cui Istvàn Szabò realizzò il film A torto o a ragione sul caso Furtwängler e sulle sue responsabilità di fronte al regime nazista. Fu una prima presa di contatto che si risolse dopo i soliti convenevoli nel conferimento della tessera di socio onorario del Movimento Telesaudadista. La seconda, nello stesso anno, fu al Parco della Musica, in occasione dell’anteprima del film Gente di Roma di Ettore Scola. Foà ricordava vagamente il nostro incontro di qualche tempo prima ma non riuscimmo a concludere la nostra conversazione per colpa di un euforico Corrado Augias che me lo sottrasse abbracciandolo al grido di “Arnoldo, vecchio giudeo!”. Nel 2006, allorquando mi trovai ad organizzare una serata telesaudadista dedicata a Renato Rascel pensai bene di chiamare Foà che ne I racconti di Padre Brown vi aveva recitato di fianco, nel ruolo del ladro redento Flambeau. Superata la schermatura della moglie, Anna Procaccini, gli rivolsi per telefono il mio invito. Al termine di un colloquio cordiale, qua e là punteggiato da aneddoti e battute, seppur cortesemente, declinò la mia offerta per motivi che ovviamente non riferirò. Me ne dispiacqui pur comprendendo le sue ragioni.
Tornai alla carica due anni fa per l’uscita nei tipi di Sellerio della sua Autobiografia di un artista burbero, agile condensato di un secolo di vita, sulla cui presentazione ero già d’accordo con gli animatori di un caffè letterario romano. Quando gli accennai l’ipotesi, uscendo insieme da una proiezione alla Casa del Cinema, mi confessò di essere troppo stanco, di aver esaurito le forze nel lavoro di scrittura. Protestai scherzosamente, mi dissi scettico, insinuai che volesse conservarsi per qualche occasione più prestigiosa o, magari, istituzionale. Non replicò ma mi prese per un braccio e con tono confidenziale, a voce bassissima per non farsi sentire dalla moglie lì a due passi, mi disse: “non sai quanto ti invidio quella pipa, la mia me l’hanno tolta da un pezzo”. E poi, forse per consolarmi della sua indisponibilità e anche un po’ per dimostrarmi che contraccambiava la mia simpatia, affermò risoluto: “facciamoci una bella foto insieme!”. E così mi liquidò con una fotografia un po’ sfocata e oscurata dallo sfondo buio della notte in Villa Borghese. Resta il rimpianto di non aver avuto Foà ospite in una delle nostre serate, ma non c’è dubbio che quella foto e l’affabilità sincera del momento in essa fissato lo lenisce un bel po’.
* fondatore del Movimento Telesaudadista