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Mr. Klein, il capolavoro dimenticato di Joseph Losey per ricordare l’Olocausto.

Lunedì 27 alle ore 21, per la Giornata della Memoria, in simultanea al Cineforum Falso Movimento di Rovito (Cosenza) e al Cineclub Alphaville di Roma (v. del Pigneto, 283), Ugo G. Caruso presenta in videoconferenza Mr. Klein, l’importante film del 1976 diretto da Joseph Losey su sceneggiatura di Franco Solinas. All’incontro di Roma interviene Abram Hassan, imprenditore, mentre a Rovito oltre alle testimonianze di esponenti della comunità ebraica locale, i cui appartenenti, per gran parte discendono dagli internati del vicino campo di Ferramonti, è previsto un collegamento telefonico con il regista e scrittore Claudio Sestieri che attingerà alle proprie memorie familiari per raccontare le drammatiche vicende delle persecuzioni antisemite nella capitale.

Parigi 1942. Ricco e con pochi scrupoli morali, Robert Klein (Alain Delon) è un alsaziano sui quarant’anni che fa il mercante d'arte durante l'occupazione nazista e si arricchisce acquistando a poco prezzo quadri di valore svenduti da ebrei perseguitati. Ma un' inquietante coincidenza, la spedizione al suo nome e indirizzo del giornale "L'information juives", che viene inviato ai componenti della comunità ebraica per informazioni e aggiornamenti sulla situazione politica, fa si che,rivoltosi alla polizia, Klein venga a conoscenza dell'esistenza di un suo omonimo, ricercato perché ebreo e militante nella Resistenza.

La singolare scoperta innesca in Klein,uomo cinico e sicuro della propria consolidata posizione sociale,un meccanismo di curiosità e inquietudine che presto si trasforma in ossessione. Klein si mette sulle tracce del suo omonimo, scopre lo squallido appartamento in affitto dove abitava, il misterioso castello dove incontra Florence (Jeanne Moreau), la sua amante, ambigua e reticente, cerca di ritrovare una sua amica di cui possiede una foto e, senza rendersene conto, finisce per attirare i sospetti della polizia e immedesimarsi con il suo doppio. Ormai apertamente perseguitato da un commissario francese collaborazionista, rifiutata per due volte la possibilità di salvarsi,offertagli dall'amico e avvocato Pierre (Michael Lonsdale),finirà, insieme a centinaia di ebrei, nella grande retata, la grande rafle du Vélodrome d'Hiver.

Dopo l'incipit gelido e "crudelmente" distaccato, la brutale visita medica a cui viene sottoposta una donna per accertare se le sue caratteristiche somatiche corrispondano a quelle della razza semitica, la narrazione si concentra sul personaggio di Robert Klein e sul sottile, inesorabile disgregamento della sua identità sociale e psicologica.

Ancora una volta il tema portante è quello della soppraffazione, del conflitto tra "vittima" e "carnefice", che viene storicizzato da Losey sullo sfondo di una Parigi livida e cupa (nella dominante cromatica della la bellissima fotografia di Gerry Fisher), percorsa da lugubri divise nere.

Il film ha una struttura elittica, con il susseguirsi di "tunnel visivi in cui si entra e da cui si esce lungo un percorso irrealistico che ha l'aspetto di un lucido incubo.Il corridoio dell'ospedale, il corridoio della casa di Klein, il corridoio del castello e infine il corridoio dallo stadio ai vagoni piombati. Un tale itinerario oppressivo evoca un'atmosfera kafkiana, ma l'assurdo di Losey resta assai lontano dal quello di Kafka, dato che, per il regista, la causa del male risiede unicamente nell'uomo e non in un fato imperscrutabile." La continua presenza di specchi, che riflettono l'immagine del protagonista, sottolinea lo sdoppiamento inquietante della sua identità e il suo conseguente smarrimento, mentre la simbolica figura (in apertura e chiusura del film) dell'avvoltoio trafitto nel cuore da una freccia, sembra voler significare la nuova consapevolezza di Klein "trafitto da un sentimento di umanità che gli era sconosciuto."

La sceneggiatura di Franco Solinas che era destinata a Gillo Pontecorvo e poi a Costa-Gavras, trova in Losey un realizzatore dallo sguardo lucido e penetrante,che nella ricostruzione ambientale si affida alle magnifiche scenografie, volutamente lugubri, di Alexandr Trauner e all'interpretazione misurata di un Alain Delon che vive con ammirevole intensità la catarsi di un personaggio ambiguo, travolto da un'incalzante ossessione.

Più che un film sull'Olocausto, dunque, un apologo morale pervaso da una sottile, crudele, imprescindibile, angoscia etica ed esistenziale.

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