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Lo sfruttamento e la tv spazzatura

di Vincenzo Vita

L’’Isola dei famosi’ è solo sottocultura di massa, televisione trash, spazzatura? Anche, ovviamente, ma non solo. Intanto, perché il modello ‘reality’ costituisce una cinica forma di racconto post-realistico, finzione della realtà, e tuttavia costruita sul costante richiamo ipertestuale. Perché in quei peculiari ‘formati’ la narrazione è multipla, parallelamente svolta sullo schermo e nella testa del consumatore, che si costruisce il suo, di testo. Insomma, lungi dall’essere mera espressione di rozzezza, la TV di bassa qualità, figlia della leggerezza delle semiculture populiste e conservatrici, strizza l’occhio al tempo della rete. E ai sottogeneri di successo della letteratura o del cinema. E’ una modalità -pur elementare- di ipertesto.

La struttura dei ‘reality’ ha, poi, un elemento di tragica ipermodernità: l’utilizzo delle forze di lavoro occasionali e ‘noleggiate’, trattate come mero corollario non famoso tra i famosi. Questi ultimi utili semi-eroi di una rappresentazione giocata sui tic e sugli estremi (grave l’allontanamento di Busi, ma non innocente certo la sua complicità nel trend narrativo), ripresi da tecnici cameramen invisibili complemento della e nella scena. Numerose sono state denunce e polemiche per veri e propri maltrattamenti, cui rispose la società beneficiaria dell’appalto – Magnolia- ma senza convincere. Infatti, quella vicenda è stata un epifenomeno, la punta di un’ondata assai tipica dell’era digitale e di quella dell’economia cognitiva. Non in sé. Anzi, vi sarebbero tutti i presupposti per valorizzare come mai i beni comuni immateriali. La conoscenza, i saperi, presupposti di una cittadinanza all’altezza del tempo tecnologico. Nell’accezione liberista e reazionaria oggi tutto questo è precarizzazione, supersfruttamento del lavoro, del nuovo vastissimo proletariato irregolare. Intrecciato con la vasta gamma della attuale industria culturale, ri-costruita proprio attraverso delocalizzazioni e appalti sottocosto. E così, la vicenda dell’’Isola dei famosi’ è l’indice di un fenomeno ben più diffuso, che ha portato –ad esempio- negli ultimi due anni a far perdere al lavoro italiano nell’audiovisivo circa quindici milioni di euro, attraverso il crescente utilizzo di set italianizzati in location estere. Tentazioni di nazionalismi di ritorno? Nient’affatto. E’ doveroso capire che le professioni intellettuali, espanse dalla società dell’informazione, sono ormai un quinto, sesto stato, su cui la destra ha deciso di intervenire con la scure. Per normalizzarle. Non si comprende, altrimenti, il motivo di tanto accanimento nel decurtare fondo dello spettacolo, beni culturali, lirica, scuola, università, ricerca. Per conquistare l’immaginario collettivo –ecco la posta in gioco degli attuali gruppi di potere, dei quali il ‘berlusconismo’ è la penosa versione italiana- servono pochi fedelissimi intellettuali di regime ( o oppositori di comodo) e svariati ‘iloti’ capaci di sorreggere gli apparati della manipolazione. Della riproduzione, ci avrebbe corretto Althusser.

Ed ecco perché dobbiamo occuparci di tali temi, di queste persone: ci parlano non già della periferia, bensì del centro della questione di oggi.

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