di Pia Covre*
La notizia che alcune madri di famiglia si stanno guadagnando da vivere a Limena, vendendo servizi sessuali nella periferia industriosa della ricca città del Santo, ha destato molto scalpore.
Il primo lancio parlava di donne italiane spinte dalla crisi economica che lavoravano in strada come le straniere, la descrizione particolareggiata delle donne e del paesino da cui provenivano presentava la cosa con il sapore del pettegolezzo scandalistico. Dopo un paio di giorni, evidentemente il tempo per cercarle, identificarle (si spera non partendo da quella foto) e raccogliere le loro storie, la notizia è stata presentata come “croccante”, non più donne che si prostituivano ma MAMME! La rivelazione di una condizione insospettabile. La dimensione umana della storia assume così una luce diversa. A me da l’occasione per fare luce sulla realtà. Personalmente non capisco lo shoc per il fatto che le signore sono madri di famiglia, la maggior parte delle donne che vendono servizi sessuali lo sono di solito, e qualche volta ci sono anche padri visto che capita che alcune transessuali abbiano dei figli prima di intraprendere questo tipo di lavoro. E ci sono poi madri singole o divorziate, tutte persone che come ogni altro cittadino hanno una vita di affetti o di solitudini, di gratificazioni o di problemi a seconda delle circostanze, soprattutto di conti da pagare. Il problema dello shock procurato dalla notizia sta nel fatto che alle persone che si prostituiscono non si associa mai una vita normale. Si pensa erroneamente che siano “diverse” dalle altre donne. Viziose, capricciose, indecenti, il giudizio non è quasi mai mai benevolo.
Se finalmente si smettesse di pensare alle lavoratrici del sesso stigmatizzandole come dei “soggetti indecorosi”, se finalmente si volesse qualificare dignitosamente la prestazione di servizi sessuali come una prestazione di servizi alla persona, si capirebbe che non c’è differenza fra queste madri di famiglia e le tante donne straniere che si cerca di cacciare quotidianamente dalle stesse strade. Anche loro sono figlie e madri di qualcuno.
Ora una circostanza accomuna certamente tutte/i: il bisogno di guadagnare per avere una qualità di vita minimamente decente. Questo vale per le italiane e per le straniere, va detto che con la crisi economica come molti altri “lavori” informali anche lo scambio di sesso per denaro ritorna ad essere una risorsa per le donne anche italiane. Come lo era in passato quando le opportunità di lavoro e carriera per le donne erano certamente più limitate. Una parte della nostra società continua a dire che questo scambio di sesso per denaro è un problema sociale inaccettabile, chi lo dice sembra non rendersi conto che così si lascia in una condizione drammaticamente emarginata migliaia di donne e transessuali messi al bando da leggi che li discriminano e li perseguitano, condannati all’esclusione sociale e in una quasi totale assenza di politiche di sostegno. Il milione di nuovi posti di lavoro promessi da qualche governante o non esistono o ci si arriva solo con favoritismi. E’ evidente che in Italia non ci sono solo escort e veline ma anche lavoratrici di strada, perché i clienti non sono ne tutti “ricchi” ne tutti “porci”, il mercato del sesso è lo specchio della società con tutte le sue differenze. Se si pensa che le madri non debbano prostituirsi o che i padri non debbano ricorrere a mezzi “semi illegali” per mantenere la famiglia, ma anche che i giovani non debbano scendere a “compromessi discutibili” per avere un posto di lavoro, si potrebbe cominciare a concedere il reddito di cittadinanza per tutti. Non sarebbe impossibile se si partisse da una più equa ripartizione della ricchezza e da un principio di giustizia sociale. Semplice, basta andare in “direzione ostinatamente contraria” rispetto a come andiamo ora.
* Segretaria Comitato Diritti Civili delle Prostitute