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La zona e il materialismo dialettico

Il calcio secondo Lenin e Mourinho

Luigi Cavallaro, magistrato del lavoro presso il tribunale di Palermo, fa outing: “Fallito il Partito Comunista, fallita la breve esperienza della Sinistra Arcobaleno, mi sono detto: Chi sono? Oggi finalmente ho la risposta: io sono un Interista Leninista”. Sembra uno scherzo ma Cavallaro è un giovane e serio servitore dello Stato, un appassionato cultore di economia politica, uno cittadino alla ricerca di una ragione di identificazione politica, un convinto tifoso nerazzurro e un credibile leninista. E si dichiara, martedì 15 giugno, alla libreria “Le Storie” di Roma, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, “Interismo Leninismo”, sottotitolo: “La concezione materialistica della zona” (ManifestoLibri).

Insieme a lui un testimone impegnato nelle vicende convulse della sinistra italiana, Alfonso Gianni, già inquilino della segreteria di Bertinotti e Silvano Falocco, economista ambientale che coordina l’incontro e a cui spetta il calcio di inizio. “È un libro che invita a pensarsi in modo “collettivo” - esordisce Falocco - singoli in relazione con altri singoli con i quali configuriamo unità nuove.” La palla passa poi a Gianni, che cita Pasolini e definisce il calcio “come l’ultima rappresentazione del sacro, e può sostituire il teatro nella sua funzione classica, quella di rappresentare la dialettica tra collettività e individualità”. Poi recita una poesia di Maurizio Cucchi, poeta milanese dall’animo delicato e nerazzurro. È l’assist per Cavallaro: “Il calcio veicola modelli di funzionamento della società. Il racconto dell’evoluzione dal gioco a “uomo” a quello a “zona” svela la falsa ideologia della narrazione capitalistica per cui la società di mercato è una società di individui. Questa piuttosto si basa sulla collettivizzazione forzata e su una rigida gerarchizzazione: noi siamo supporter di quei pochi a cui solo è consentito di fare il gioco, e cioè decidere cosa, come e quando possiamo produrre (e consumare).” Cartellino rosso per il Campione. Più c’è società, più c’è individuo, recitavano Marx e Adorno: “Herrera e Mourinho –chiosa Cavallaro- creano un collettivo, un gruppo di atleti dove non solo le regole valgono per tutti, ma è l’apporto di tutti a determinare il risultato. È il gruppo, non il campione, la variabile decisiva. ”Eresia! Ammonizione per Mourinho costretto ad abbandonare il campo: odiato dalla stampa italiana sportiva e non, perché ha “costretto” il genio ribelle Balotelli a sottostare alla disciplina della squadra. “Come si può ingabbiare il fuoriclasse nel collettivo? Sarebbe come costringere il nostro presidente del consiglio a sottostare alle regole democratiche”, e qui è il Cavallaro magistrato che parla.

Eccoci quindi finalmente in zona calda, area di rigore, a pochi metri dalla porta. Cavallaro è generoso. L’ultimo passaggio è al pubblico. Lo raccoglie un professore ordinario di filosofia morale: è concitato ma non ha perso la lucidità. “L’Inter è odiata da tutti perché è l’unica squadra etica. Ed è odiata da tutti gli imbroglioni (Moggi e affini) e i razzisti (Maroni e company)”. Il professore calibra il tiro: “D’altronde tutti gli imbroglioni sono pure razzisti!”. Il pubblico si scalda. Nell’aria echeggia la narrazione del mito fondativo dell’Inter: “Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo”. GOAL!

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