Parla il tanatologo Francesco Campione
Il professor Francesco Campione, medico specializzato in psicologia, è un tanatologo, pioniere in Italia di quella dottrina, la Tanatologia, appunto, che chiamando a raccolta aspetti molteplici dello scibile umano, affronta la morte come questione esistenziale, il problema dell’esistenza umana. A Bologna ha fondato l’Istituto di Tanatologia e Medicina Psicologica. «Esiste, invece, un modo più sano di morire, basato sul “disinteressamento” -ci svela- questo vale sia per il morente che per il dolente. Se entrambi riescono a superare la barriera dell' “io” e a disinteressarsi della propria vita (o della propria morte) accade che il primo morirà per l’altro, preoccupandosi del ricordo che lascerà in chi resta e dedicandosi a minimizzarne le sofferenze. Il secondo, invece, non cercherà una consolazione per sé: piuttosto elaborerà il lutto e vivrà la sua vita sostituendosi a chi non c’è più, dando continuità alla sua esistenza e abbandonando la tentazione di farlo sopravvivere come spettro in un mondo parallelo. Questa è quella che io definisco una “morte sensata”».
Come sensato sarebbe allora cominciare ad attrezzarci per una educazione sentimentale alla morte, al lutto, al cordoglio. Una strada difficile, però. «Nella modernità e postmodernità – spiega Campione- trionfa l’educazione a non pensare alla morte, perché inquieta. Si segue piuttosto l’indicazione di Spinoza: “Il saggio pensa alla vita, non alla morte”. Di conseguenza si attiva un potente meccanismo di rimozione di tutto ciò che fa pensare alla morte naturale, vale a dire alla morte come destino, come fatto ontologico che riguarda tutti, anche i sani e per la quale non vi è rimedio. È questo tipo di morte l’Osceno della nostra società, ciò che deve essere fatto uscire di scena, occultato. Da qui la crisi dei rituali funerari collettivi, tanto che in alcuni paesi, chi abita lungo la vita che porta ai cimiteri protesta perché non gradisce il passaggio del corteo funebre». Ma la rimozione della morte, che è alla base di molte delle nostre ansie, depressioni e angosce diffuse, ha delle conseguenze anche in politica?
«Una democrazia sana è una democrazia di cui fanno parte anche i morti –conclude il professor Campione- questi, invece, sono stati espulsi dallo spazio politico. Dove contano solo i vivi che si confrontano con gli altri vivi, seguendo le leggi della giungla, badando esclusivamente alla propria sopravvivenza come se non dovessero morire mai. Una cultura che elimina da sé la morte è una cultura non umana, e una democrazia così mutilata perde il senso del limite. Accogliere la morte, invece, aiuterebbe a comprendere che non giochiamo da soli, che siamo la continuazione di quelli che c'erano e l'anticipazione di quelli che saranno. Questa consapevolezza darebbe una grossa mano alla questione ecologica, per esempio. La politica, invece, si ostina ottusamente ad occuparsi solo dei presenti, di chi c'è. Mentre fra poco saremo tutti morti».