Dare voce e visione ai nuovi soggetti e schermi della trasmigrazione cinematografica
di Riccardo Tavani
Dare voce a chi non ce l’ha, a chi è tolta, a chi non sa o viene impedito di esprimersi. Dare voce ha il senso di dare o ridare una possibilità, una chance storica, sociale a chi viene o è stata negata. Questo, secondo Walter Benjamin, è lo strato più autentico che è al fondamento di ogni arte e che ogni singola opera dovrebbe essere capace di far riemergere. In questo film questo dare voce, in quanto possibilità, assume una duplice faccia: cinematografica e civile. C’è, infatti, da una parte, un produttore, Gianluca Arcopinto della Pablo, il quale non è nuovo a dare una possibilità di espressione a progetti, idee di cinema che esulano dalle vie canoniche. Dall’altra, due sceneggiatori, Claudia Russo e Gino Clemente, che insieme a un regista, Daniele Gaglianone, danno voce a un gruppo di immigrati, provenienti da diversi punti del pianeta. Dare voce qui significa letteralmente offrire loro la possibilità di esprimere pensieri e sentimenti nella lingua del Paese nel quale sono approdati, l’Italia.