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Pubblicità, se la paura prevale sull'innovazione scatta il codice rosso - di Marco ferri

Siamo al disastro. Dopo ben quattro anni di crisi la situazione continua a peggiorare. Nel primo trimestre 2012, Nielsen ha certificato un crollo degli investimenti del 7,5%. La paura prevale sull’innovazione, il conformismo sulla voglia di fare bene. Va pure detto che l’attuale classe dirigente delle agenzie di pubblicità appare inadeguata alla fase. Veniamo da un periodo miope, in cui la capacità di relazione era il requisito per i top manager, mentre a direttori creativi si chiedeva di affabulare il cliente in sala riunione.

Oggi il terreno è aspro e accidentato: al cliente bisogna saper fornire una visione concreta, c’è bisogno di una nuova mentalità. C’è bisogno di fare. Personalmente non ho mai creduto che la pubblicità dovesse intrattenere il consumatore: al massimo è successo che la creatività ha intrattenuto il committente, che ha a lungo pensato che tanto tutto si giocava sul media, che magari il messaggio veniva dopo una ricca pianificazione televisiva.

Oggi la situazione è tale da richiedere un grande sforzo professionale. E non è che le cose si risolvano se uno ha la pensata tardiva di metter su un reparto digital.

Mai come nei periodi di crisi in generale e a maggior ragione proprio in questi frangenti, un’idea è buona e promettente per il successo di un brand se è capace di entrare in condivisione con i valori espressi dall’epoca attuale. Qui bisogna spingere per tutto ciò che è concreto, realistico, intelligente, arguto al limite dell’irriverenza.

I clienti hanno difficoltà, hanno problemi, hanno preoccupazioni. In questi frangenti bisogna essere molto flessibili, direi situazionisti. Le regole sono tutte saltate, il che non è sempre un male.

La ricostruzione del tessuto connettivo tra marca e consumatore passa attraverso una vera presa di coscienza da parte dei nostri clienti. Su questo terreno dobbiamo essere umili e pazienti, ma allo stesso tempo inflessibili e lungimiranti.

Dobbiamo far convivere quello che crediamo sia giusto con quello che ci viene chiesto. Mettendo le cose a confronto, possiamo dialogarne col cliente senza che nessuno si arrocchi. Questo può significare lavorare il doppio. Ecco che bisogna essere organizzati molto bene, per saper essere rapidi e sempre pieni di energie, senza sprecare inutili costi. Si può fare a meno di assetti organizzativi lenti, obsoleti, dispendiosi.

E invece, lavorare, lavorare, lavorare perché un’idea è buona e promettente per il successo di un brand se è capace di entrare in condivisione con i valori espressi dall’epoca attuale.

I clienti sono persone. I consumatori sono persone. Le persone sono molto più attive e avanti di quanto le ricerche registrino.

La pubblicità deve essere capace oggi di accettare di essere approvata e disapprovata, amata e osteggiata, commentata e criticata.

La ricetta del successo sta nella visione d’insieme, nel metodo, nell’approccio, nell’innovazione. Per trasformare un’intuizione giusta in una bella idea. Se un’idea è bella è profittevole, fa bella la sua esecuzione, su ogni media che gli si mette a disposizione, per viaggiare spedita verso il consumatore.

Se no a che serve che l’idea sia bella?

da Consorzio Creativi

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