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LE PRIVATIZZAZIONI? BELLE DA MORIRE

Il caso di France Telecom, se lo Stato diventa una SpA

La storia di France Telecom, che questo numero di 3D racconta, è una storia di ordinaria privatizzazione. Una delle tante declinazioni regionali del diktat mondiale che alle parole d’ordine di “liberalizzazione”e “deregulation” si fa carico di affrancare ogni bene di proprietà pubblica dai vincoli dello Stato, per consegnarlo all’iniziativa economica privata. Una missione febbrile e contagiosa, che raccoglie proseliti ovunque. Anche qui da noi, dove la cronaca riporta periodicamente programmi di privatizzazione che vanno dalla svendita degli immobili e del demanio pubblico ( chi non ricorda la proposta ai limiti della boutade del ministro Tremonti della messa in vendita delle spiagge) sino alla riduzione a SPA di settori strategici quali la gestione dell’acqua, la Difesa, la Protezione Civile. Un disegno, quest’ultimo, che solo ieri ha subito un primo stop, ma che verrà certo riproposto.

Le intenzioni sono le migliori e, sulla carta, persino incontestabili: efficienza e produttività. Ma è sul campo poi che tocca fare la conta delle perdite. Da questo punto di vista, la Spoon River dei lavoratori di France Telecom è un caso esemplare. Erano per la maggior parte funzionari statali, fieramente attaccati al loro status e abituati a pensarsi come impegnati in una nobile missione: servire il pubblico. Così concepivano il proprio lavoro ed il lavoro era parte fondante della definizione di sé. Ma da quando nel 1998 è cominciata la privatizzazione dell’azienda si sono ritrovati stritolati nel meccanismo infernale di un business sempre più competitivo (Deutsche Telekom AG e Vodafone Group Plc. tra i rivali più agguerriti,) trainato dall’avanzamento tecnologico e dall’ultimatum della produttività. Una produttività a tutti i costi, meno uno: quello del lavoro. E così dal gennaio del 2008 a oggi, in trentacinque hanno tolto il disturbo. Si sono suicidati. Quasi prendendo alla lettera il nuovo programma di risorse umane chiamato, in italiano “E’ tempo di andare”. Declassamenti, minacce, pressioni sulla produttività, “inviti” alle “dimissioni volontarie” di lavoratori non ancora in età da pensione, questi gli ingredienti di un terrorismo psicologico che i dirigenti di France Telecom hanno messo a punto per “ristrutturare” l’azienda e renderla competitiva sul mercato internazionale.

Macinando sotto il rullo compressore delle nuove politiche, professionalità, competenze, aspettative, spirito di solidarietà tra dipendenti, rapporti di lavoro.

Esecutore del programma, il cost killer Louis-Pierre Wenes, che lo scorso ottobre ha dovuto dimettersi dal suo incarico dopo aver brillantemente operato secondo metodi di management fin troppo spicci e brutali.

Sempre reperibili attraverso i loro smartphone -spiegano gli psicologi incaricati di decifrare il dramma umano e sociale che si consuma negli uffici dell’azienda francese- i dipendenti non sarebbero più riusciti staccare dal lavoro e a ritagliarsi spazi per il tempo libero e per scaricare lo stress. Probabilmente -continuano gli esperti della psiche-rifiutano di accettare il fatto che i cambiamenti nella world economy sono irreversibili.
Probabilmente. Le ultime parole sono di Fabrice Sahut, impiegato dal 1989 e scaricato nel call center. Fabrice riassume così la sua personale tragedia: “Abbiamo cuffie sulle orecchie tutto il tempo. Tutto il cameratismo è andato. Tutto quello che è rimasto del servizio pubblico che una volta conoscevamo è nostalgia.”

di Arianna L'Abbate

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