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Le 3 facce di Sanremo

di Zap Mangusta

Italia gesummio
Sanremo è finito. Nella nuova e sconcertante Italia mediatica di Facebook, di Facchinetti e del Televoto, il vecchio Festival di Sanremo ha definitivamente girato la boa del suo sessantesimo compleanno e come tutti i vecchi (sporcaccioni) che si rispettano ci ha lasciato con un bel messaggio : “Non criticatemi, non fischiatemi, non gettatemi contro le cartacce, perché tanto io sono lo specchio di quello che siete voi.”

In questo finto 1965 paleo-tecnologico del neo-miracolo italiano, quella che a Sanremo ha trionfato veramente, è la legge del polpastrello svelto, ossia quello dell’ “individuo-massa” dalle idee offuscate ma dagli arti veloci, completamente assoggettato ai modelli dei media contemporanei, a cui in cambio è stato richiesto un piccolo prezzo: quello del disprezzo della sua individualità a favore del culto della personalità altrui. Culto che il mondo dei reality e dei game show ha mutato profondamente. Oggi infatti non ammiriamo più solo le qualità di un personaggio ma anche le sue debolezze, non il suo ingegno ma la sua simpatia, non la sua fierezza ma piuttosto le sue miserie. Per questo desideriamo conoscerne sempre più morbosamente il suo privato: le storie della sua famiglia, le amicizie, gli amori. Vogliamo vederlo mettersi a nudo, piangere, scusarsi, incazzarsi, dibattersi in mille difficoltà, così magari possiamo salvarlo noi, attraverso il palpitante meccanismo del Televoto.

Italia palpitio
Non stupisce pertanto che i primi 3 classificati del 60° Festival siano personaggi ampiamente supportati e “perlustrati” dal video. Sarebbe bastato infatti osservare quante volte negli ultimi 500 giorni i primi 3 classificati siano passati in televisione, per intuire che contro di loro niente avrebbe potuto la classe di Malika Ayane, il caustico ed irriverente sberleffo di Cristicchi, la vitale energia di Irene Grandi. Inezie, al confronto degli ammiccamenti suadenti di Valerio Scanu (in “Amici”), le eleganti piroette del principe (in “Ballando sotto le stelle”) o i reiterati pianterelli di Marco Mengoni (a “X Factor”), reificati e resi immortali da ore ed ore di inquadrature e di primi piani ad effetto. Tre facce della stessa medaglia: quella del “talento” mediatico, inteso non come abilità individuale ma come antica moneta da spendere (nell’antica Grecia ed in Palestina era la moneta ufficiale).

Italia luccichio
E’ questa infatti oggi, nel nostro Paese una delle principali monete di nuovo conio: quella prodotta dalla popolarità dei reality o dai game show che l’italiano medio subisce, così come ha subito la dittatura dell’euro, nella convinzione che alla lunga, anche quella dovesse pur valere qualcosa. E non potendola spendere individualmente per sé (le occasioni gli difettano), la spende a favore di altri: nella consolatoria certezza di poter incidere col Televoto, se non sul suo, almeno sul destino dei suoi beniamini.

Italia del non-io
Ma per spingere alla frenesia del polpastrello digitale, nei miracolosi anni del “finto 1965”. bisogna saper emozionare, suggestionare, provocare, coinvolgere. Come? Semplice : con sfoghi, mea culpa, contrizioni, e/o sottili ed abili provocazioni.

Italia miagolio
Si dice che in altri tempi, il cantatutore Luigi Tenco si fosse suicidato perché Orietta Berti era andata in finale con “Io tu e le rose” una melensa canzoncina che possedeva un innocua ma garbata melodia. Era il 1965. Quello vero. Oggi nel “1965 finto”, quello degli Albani televisivi, delle Clerici ai fornelli (in un paese in cui più nessuno sa cucinare) e dei quiz per ripetenti d’asilo recidivi, oggi, dicevo, nel 2010...opps, scusate, non volevo turbarvi, nel “1965 finto”, di fronte all’eclatante trionfo del brano di Pupo ed Emanuele Filiberto, Morgan (il luigitenco di oggi) per fortuna non si è suicidato ma ha semplicemente (ed inopportunamente) dichiarato di aver messo la testa sotto il cuscino per non sentire il pezzo. Avrebbe potuto dire che l’intero Paese doveva essersi fatto di crack e sarebbe stato più divertente ma dopo il contrito “mea culpa” dispensato a “Porta a porta” in abiti sobri e sguardo basso, l’ex maledetto “convertito” del rock nostrano, naturalmente, se n’è guardato bene.) Non c’è dubbio dunque che i tempi siano cambiati. E che, per quanto si cerchi ostinatamente di far credere che siamo ancora nel 1965, epoca in cui tutto (forse) era genuino ed originale, è diventato sempre più difficile, oggi, distinguere il falso dal vero. E chissà, forse non ha nemmeno più importanza.

Italia santiddiio!
Fa inoltre sorridere che molti autorevoli direttori di giornali di questo paese (non scandinavi, dunque), si siano lamentati contro la tirannia del festival di Sanremo, proponendo (da ormai 50 anni) di non lasciarsi soggiogare dal suo fascino (e spedendo poi cinque inviati al suo seguito). Chi l’ha fatto è stato tragicamente colpito dall'oblio. E nessuno (o comunque pochi) l’hanno seguito nei suoi nobili intenti.

La storia del resto non è nuova. Ne parlavano già i tragici greci e persino Sartre ne “Le mosche”. Il popolo non ringraziò Oreste quando questi provò a liberarli dalla tirannia di Egisto, al contrario gli si ribellò e lo cacciò dalla città. Per quanto di Egisto si sapesse tutto: che era un filibustiere assatanato, che tradiva Clitennestra e trascurava i figli, le sue apparizioni settimanali dal balcone di Argo (non c’era ancora la televisione) lo induceva ad adorarlo ed a sperare nonostante tutto, di paragonarsi a lui, quindi a guardarsi dentro con maggiore indulgenza ed infine a perdonare le sue, le proprie e le altrui debolezze. Egisto è ancora tra noi. Anche se adesso è un simpaticone che racconta barzellette e va in giro a dire che il suo è il circolo dell’amore e della felicità.

Italia scintillio
Niente di nuovo, l’avevano già detto i classici. Già, ma oggi chi li legge più i classici? Sepolti come sono sotto le pile esorbitanti di volumi dei Moccia, Faletti e Fabio Volo che contengono un’infinità di risposte inutili a domande del tutto superflue, tra la mortificazione dei librai che pur di vendere sono costretti ad esibirli in bella mostra in tutte le vetrine (salvo poi lamentarsi, a denti stretti) nei convegni.

Italia scricchiolio
E fanno sorridere anche gli opinionisti (Italia mormorio) che qualche giorno fa si chiedevano insistentemente come avesse potuto vincere il Festival una canzone così melensa ed arrivare seconda un brano cosi retorico ed ancor più fanno sorridere (lo dico con simpatia) quelli del Codacons che volevano vederci chiaro sui meccanismi del Televoto. Vederci chiaro in cosa ? Si, proprio nei meccanismi del Televoto. Per scoprire poi magari che erano stati Pupo ed il Principe a trionfare, a dispetto del giovane “cocco” di Maria.

Da parte mia, nel finto 1965, al contrario, io propongo senza alcun indugio, l’assunzione da parte delle istituzioni competenti dell’arguto Pupo, come amministratore delegato dell’Alitalia ( il jingle potrebbe essere : “Alitalia amore mio”) della Fiat o della Toyota (ma in questo caso il brano diventerebbe “Suv, di noi”). Solo lui infatti, oggi, potrebbe risollevarne magnificamente le sorti, solo lui sarebbe capace di sdoganare simpaticamente anche i Lapo, gli amministratori delegati della Toyota e persino quelli di France Telecom. Sempre che i suddetti dirigenti siano disposti ad affrontare prima gli onerosi percorsi di un reality o di uno spettacolare game show televisivo. Non ci credete ? Abbiate fiducia e vedrete che accadrà. Forse. Ma quando succederà, non scomodatevi ad indignarvi o ad esprimere il vostro sarcasmo. Piuttosto osservate negli occhi, più da vicino, il vostro vicino di autobus. Potrebbe essere quello che con faccia stralunata e vene del collo gonfie, gridava “ammazzalo” nei confronti del Zidane dopo la celebre testata nella notte tedesca del 2006. Quel vicino insomma potreste essere voi. Noi. Tu. Ed io. Italia, amore mio. Che ne dici di un bel ravvio?

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