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Aiuti umanitari un Corno. D'Africa

Secondo l'analista somalo Mohamed Abshir Waldo, la pirateria nel Corno d'Africa è in origine una medaglia a due facce. La prima è quella umida degli abitanti dei 3300 chilometri di costa, ex nomadi che la siccità ha convertito in pescatori. Questi, la cui sopravvivenza dipende dalla pesca, a partire dalla caduta del regime del Generale Siad Barre nel 1992 e dalla disintegrazione della Marina Somala si sono trovati indifesi a dover contrastare la pesca illegale nelle loro acque territoriali da parte di pescherecci stranieri provenienti dall’Europa, dall’Arabia, dal lontano Oriente.

Le navi di bracconieri, faccia della medaglia numero due, saccheggiano le abbondanti aragoste e il pregiato pesce delle acque tiepide del mare somalo.

A poco valgono gli appelli delle comunità locali e della società civile, appoggiate dal debole governo di transizione e da alcune organizzazioni internazionali. Nell’aprile del 1992, dal Fronte democratico somalo di salvezza giunge all’allora Ministro degli Esteri italiano, Gianni de Michelis, la denuncia della razzia delle risorse e la distruzione dell’ecosistema marino da parte di pescherecci italiani non autorizzati. L’accusa cade nel vuoto: la pesca illegale frutta alla UE più di cinque volte il valore degli aiuti inviati in Somalia ogni anno.

Nel frattempo in combutta con i signori della guerra somali, con cui si spartiscono il bottino, fioriscono all’estero nuove ditte specializzate nella fornitura di false licenza di pesca. Tra queste la AFMET, ditta mercantile africana e mediorientale con base nel Regno Unito e in Italia, la PALMERA e la SAMICO, con base negli Emirati Arabi. Nel 2005 usufruiscono del servizio circa 700 compagnie straniere.

Ma vi è un altro affare in ballo, strettamente connesso a questo: lo smaltimento dei rifiuti industriali, tossici e nucleari. Mustafa Tolba, direttore esecutivo dell’UNEP (United Nations Environment Programme) denuncia sul quotidiano africano Sunday Nation, il 6 settembre del 1992, che aziende italiane, a fronte di un profitto che va dai 2 ai 3 milioni di dollari, scaricano rifiuti tossici letali in Somalia, contribuendo alla distruzione di vite umane e dell’ecosistema. Nel ’94, due anni dopo la denuncia di Tolba, Ilaria Alpi viene uccisa a Mogadiscio.

Oggi probabilmente di quei pescatori, che nel tempo hanno ammodernato mezzi e tecniche di difesa delle loro acque, ne sono rimasti pochi. La pirateria somala è diventata un affare lucroso, grazie al sistema dei sequestri e dei ricatti milionari, una multinazionale composta per lo più da mercenari al soldo dei più svariati interessi economici e politici (tra cui, oltre a pesca e rifiuti, il traffico d’armi) e delle manovre dei diversi servizi segreti. Perciò resiste e prolifera nonostante gli ingenti mezzi dispiegati dalla comunità internazionale per contrastarla. D'altra parte combatterla significa per le maggiori potenze (dall’America ai Paesi Arabi, dall’Europa alla Cina, India, Sud Corea) avere l’occasione di militarizzare una zona strategica nel grande gioco della geopolitica. Lo stretto di Bab el Mandeb che congiunge Mar Rosso, Golfo di Aden e Oceano Indiano è uno dei punti chiave di controllo dei flussi mondiali di petrolio. Lo sa bene Al Qaeda, che mette radici nel Corno d'Africa, reclutando tra gli oltre 200mila profughi somali in fuga dalla miseria e dalla guerra permanente.

di Arianna L'Abbate

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