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Zap, uno sherpa del pensiero

Come giocare con la filosofia "pop", mettendola in musica

Una pillola mentale per digerire la pesantezza di una vita sempre più stressante. E' quello che ci offre, ogni giorno alle 15, Radio Due. Si chiama “ Così parlò Zap Mangusta “, è in onda da fine marzo ed è una storia della filosofia in pillole. Ogni giorno, in un quarto d'ora, Zap si misura con la difficile impresa di raccontare il pensiero di un filosofo, da Talete in poi. E ci riesce, se dobbiamo guardare all'interesse che suscita ed ai dati di chi scarica i Podcast, ormai unico parametro attendibile del successo di una trasmissione radio. Zap, qui c'è un progetto ambizioso e contenuti alti.

Com'è possibile, di questi tempi, in RAI? La solita eccezione che conferma la regola?
No, se lei guarda il palinsesto di Radio Due, vedrà che la mia trasmissione non è orfana. E' circondata da parenti e affini, sono inserito in un contesto assai degno. E questo aiuta molto, perchè il programma s'innesta in un tessuto che prepara l'ascoltatore, lo sintonizza mentalmente oltre che fisicamente.

Programmi intelligenti in RAI di questi tempi? Faccia i nomi
Flavio Mucciante, il direttore di Radio 2. Ma se non vivessimo nel mondo alla rovescia, non ci sarebbe niente di straordinario, in un dirigente che mette gusto e cura e nello scegliere i palinsesti. Tuttavia lo è.

Leviamoci subito il pensiero: per l'ascoltatore medio filosofia vuol dire De Crescenzo. Lei è un suo epigono?
Luciano mi ha scritto una volta una dedica tenera, quasi imbarazzante. Conteneva la risposta alla sua domanda, che è: no. Lui è un divulgatore delle vite dei filosofi, io cerco di comunicare come ha detto lei, in modo "pop". E per questo mi avvalgo di ogni mezzo: gag, musiche, paradossi, battute. La sua intervista.

A proposito di battute, bella quella tra lei e la sua finta allieva che dice: “ Ti piace la fantascienza ?” “No, io già vivo in Italia...”
E' una delle caratteristiche del programma, quella di rendere in maniera frizzante dei concetti complessi, senza fargli perdere la loro ricchezza comunicativa. Comunicare non vuol dire annacquare o volgarizzare. Ma reinterpretare. Si possono comunicare pensieri articolati, senza essere criptici o parlare in codice. La filosofia dovrebbe aiutare a raggiungere un miglior equilibrio mentale e dunque anche corporeo. E come faccio ad offrire degli "strumenti" per vivere meglio se non mi faccio capire, magari strappando un sorriso? Amaro o no è irrilevante. Io provo a tradurre l'essenza del pensiero attraverso suggestioni che siano funzionali a questo percorso.

A proposto di divertimento colto, perchè in Italia questo filone quasi non esiste? Perchè oscilliamo sempre tra il pecoreccio e il troppo paludato?
Dipende dal senso di colpa di cui ci permea la nostra cultura cattolica. Ridere coi "vaffa" e con i gorgoglii dell'intestino va bene ma ridere delle contraddizioni umane e dei concetti, è considerato quasi sacrilego. Nella tradizione ebrea questo non avviene. Il lavoro di Woody Allen, Neil Simon, Mel Brooks e in Italia di Moni Ovadia, va invece in quella direzione. Da noi si può giocare con la filosofia solo se si è considerati dei comici "tout court". Se hai una certa conoscenza dell'argomento e lo racconti in maniera non accademica, entri nell'area del “non classificato”. E si viene osservati quasi con sospetto.

Perchè mai se so qualcosa in più di Socrate o di Kirkegaard dovrei vivere meglio?
La Filo offre una chiave interpretativa dei movimenti sussultori della vita. Scossoni a cui spesso siamo impreparati. Alcuni eventi personali e collettivi (da una bocciatura a un rifiuto sentimentale, dalla crisi economica all'immigrazione) spesso ci fanno paura per mancanza di consapevolezza, perché non riusciamo a inserirli in un universo personale di senso. Subiamo il luogo comune che le considera minacce e reagiamo con un riflesso unicamente difensivo: siamo impauriti da qualcosa di sconosciuto, davanti a cui ci offriamo come disarmati. E si ricorre alle pastiglie, allo shopping o alla Lega. Per affrontare una complessità davanti alla quale ci sentiamo impotenti. Ma la Filo ci ricorda che i problemi complessi hanno delle risposte semplici e chiare anche se quasi sempre, sbagliate.

Quanto ha inciso la dittatura della TV su questo voler sempre distrarre tutto e tutti, quasi per forza?
Molto. Ormai si tratta di ricostruire un tessuto culturale che è a brandelli. Dall'edonismo reaganiano in poi, per liberarci dalle ideologie abbiamo buttato via anche le idee. Di qualsiasi genere. Quelle che ci abituavano a strutturare un modello di vita, a immaginare un mondo, sono state spazzate via dalla triade consumo/tecnologia/mercato. Le nuove generazioni sono intente a imparare le istruzioni di ogni nuovo aggeggio wireless, e le vecchie sono rimbambite dalle abitudini e dalla Tv.
Appassionarsi alla filosofia può aiutare a uscire da questa spirale, che ha prodotto un analfabetismo di ritorno del 30%, con il 70% delle persone che s'informa sul mondo solo attraverso la Tv. Bisogna riconoscere che nel prevedere queste tendenze la filosofia è stata insuperabile: già negli anni '40, i pensatori della scuola di Francoforte, che scappavano dalla Germania nazista per rifugiarsi negli Usa, coglievano la pericolosità di quel circuito di “eutanasia della mente” che avrebbe messo in moto la Tv. Marcuse, Adorno e gli altri membri del club, coglievano lo spirito seduttivo di massa che Huxley aveva già descritto ne “Il mondo nuovo”, descrivendo una società onnivora mai sazia di distrazioni. Se Orwell temeva che saremmo stati distrutti da ciò che odiamo, Huxley pensava invece che lo saremmo stati da ciò che credevamo di amare. La differenza è profonda e loro ce l'avevano suggerita. Ma non li siamo stati a sentire.

Lei commenterà i prossimi mondiali in una nuova trasmissione, “Bafana Bafana” con Massimo De Luca e Joe Violanti. Come si può parlare di filosofia commentando un dribbling?
Non è necessario ma aiuta. Ho scritto un libro su questo, si chiama “Platone e la legge del pallone”. Ma in realtà credo che il calcio – come l'economia, lo spettacolo e lo sport in genere - possa rivelarci molto di ciò che viviamo quotidianamente. Non è vero che oggi non ci sono più valori, è vero invece che i valori sono sbagliati. Faccio un esempio: qualche tempo fa, in uno sport di squadra come il basket, la Nike di Phil Knight cominciò a sponsorizzare il singolo giocatore, quello più bravo di tutti. Da quel momento in poi, il messaggio che passava era la negazione dei valori collettivi e l'esaltazione di quello individuale. Erronea e sbagliata, perché nessun campione di uno sport collettivo lo è, se non ha dei compagni bravi che lo aiutano e che esaltano il suo ruolo. E lo abbiamo appena visto con Messi contro l'Inter.

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