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La Consulta salva il referendum, bloccato chi voleva privatizzare acqua e servizi pubblici. A Roma ferma la vendita dell'ACEA - di Checchino Antonini

E' incostituzionale, quindi inammissibile, l'articolo 4 del decreto legge 138 del 13 Agosto 2011, con il quale, il Governo Berlusconi, calpestava il risultato referendario e reintroduceva la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Questa sentenza blocca anche tutte le modificazioni successive, compresa quelle del governo Monti. Non potrebbe essere più chiara la sentenza della Consulta che restituisce la voce ai cittadini italiani e la democrazia al nostro Paese», come commenta il Forum italiano dei movimenti per l'acqua.

La sentenza esplicita chiaramente il vincolo referendario infranto con l'articolo 4 e dichiara che la legge approvata dal Governo Berlusconi violava l'articolo 75 della Costituzione. Proprio quello che i movimenti avevano denunciato al'epoca, che quel provvedimento reintroduceva la privatizzazione dei servizi pubblici e calpestava la volontà dei cittadini espressa il 12 e 13 giugno 2011, appena due mesi prima della manovra agostana. Ora anche chi s'era spicciato ad annunciare percorsi di ulteriore privatizzazione (eclatanti al riguardo le dichiarazioni del presidente pugliese Vendola e le mosse spregiudicate del sindaco di Roma Alemanno per svendere pezzi di Acea) dovrà rimodulare le proprie mosse.

"La bocciatura da parte della Corte Costituzionale della norma truffaldina che aveva scippato 27 milioni di italiani del risultato referendario costituisce una grande vittoria della democrazia e del movimento per i beni comuni - fanno sapere Paolo Ferrero e Rosa Rinaldi di Rifondazione - una sconfitta anche per il governo Monti che in questi mesi ha ulteriormente spinto verso la privatizzazione forzata dei servizi pubblici locali. Ora occorre costruire in maniera partecipata e plurale, come ci ha insegnato l'esperienza del movimento per l'acqua bene comune, un'alternativa politica al neoliberismo bipartisan dei partiti che sostengono questo governo».

da www.globalist.it

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