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L'Amore Carne, l'amicizia vivente e il dispositivo elettronico

Nel nuovo film di Pippo Delbono: Agamben, Ferraris, McLuhan e l'oltre genere cinematografico

di Riccardo Tavani

Se c'è un protagonista di questo film “oltre genere”, è l'amicizia, ancora prima dell'Amore Carne del titolo. “Oltre genere” perché non abbiamo alcun modo di incasellare in qualche genere cinematografico costituito questa opera per voce poetante e telefonino errante del geniale teatrante e trasmigrante d'arte Pippo Delbono.

L'uso del telefonino e di una piccola video camera full HD, anziché di un complesso apparato di ripresa acustica e visiva, è il primo gesto di amicizia, di scambio del dono dell'amicizia. Pippo ha in mano solo il suo cellulare, non guarda e non parla con i suoi amici od occasionali interlocutori da dietro l'obbiettivo di una macchina da presa o seduto su una sedia da regista. Lo sguardo tra i due è libero, aperto, non c'è un soggetto che riprende e un oggetto della ripresa. Oggetto e soggetto formano un'unica inscindibile polarità, proprio come nella relazione d'amicizia. Oggetto e soggetto si con-partecipano reciprocamente, l'uno penetra nel pathos, nella passione, nella carne dell'altro.

Non c'è una metafisica, una verità filosofica da portare alla luce e affermare ma solo questo scambio partecipativo, forma d'amicizia e amore che si fa carne viva dell'immagine, delle parole, dei versi, delle grida di Pippo e dei gabbiani sulla scia ondosa del battello ebbro di Rimbaud. È una navigazione, un viaggio compiuto insieme ai suoi amici d'arte: attrici, violinisti, stelle della danza dell'Opera de Paris, il suo inseparabile compagno di scena Bobo, sordomuto in elegante frac di gesti ed espressioni facciali. L'immagine si pone in relazione d'amicizia persino nei confronti di momenti ostici e scabrosi come una visita medica e un prelievo di sangue per il test dell'Hiv, del quale Pippo conosce già l'esito inesorabilmente positivo. Anche l'orizzonte della morte che questa visita delinea e ravvicina, mescola allo sfondo del film è partecipato non tragicamente ma con amichevole ironia sull'assurdità burocratica della procedura sanitaria e consapevolezza filosofica della propria drammatica condizione umana.

La parola 'filosofia' contiene già in sé quella dell'amicizia, 'filia' in greco antico. Amicizia della e per la 'sophia', ovvero per qualcosa che ha che fare con un bagliore, un alone luminoso. Una luce non tanto del sapere in sé, quanto, della sorpresa, dello stupore originario per l'esistere del mondo e della saggezza che dovrebbe scaturire da tale bagliore. Così Delbono accosta insieme l'origine e il gesto dell'amicizia, il pasto preparatogli da sua madre e la ripresa audiovisiva delle sue parole, della quotidianità domestica dei suoi movimenti in cucina, elevata fino al canto poetico di Pasolini in “Ballata delle madri”.

Movimenti della quotidianità da cui partiva sempre l'altra sua grande amica, la coreografa tedesca Pina Bausch, per rappresentare in modo diretto il dramma dell'esistenza. Dramma sì, perché l'amicizia non vuole ingenuamente quanto ingannevolmente edulcorare la realtà, illudere su una facile possibilità di redenzione dai suoi mali e i frame sul campo di sterminio di Birkenau e sul terremoto dell'Aquila lo testimoniano. No, l'amicizia vuole essere atto di con-partecipazione, ovvero del prendere su di sé 'parte' del carico della sofferenza di un corpo presente, della sua carne vivente. “Danziamo, danziamo – era il motto di Pina Bausch – altrimenti siamo perduti”. Ed Epicuro: “L'amicizia danzando percorre la terra”. La percorre per risvegliarci e sollevarci tutti a uno sguardo di possibile felicità insieme.

Il tema dell'amicizia in quanto filosofia, proprio perché originario, è sempre in atto, pulsante sotto la pelle del nostro presente. Eppure si esplica in questo film attraverso un mezzo peculiare non del passato, ma della più spinta contemporaneità, ovvero il telefonino o altro minimo apparato tecnico di ripresa acustica e visiva. “Ontologia del telefonino” l'ha chiamata in un suo testo Maurizio Ferraris, interrogandosi un altro importante filosofo italiano, Giorgio Agamben, su “Che cos'è un dispositivo?”. Proprio quest'ultimo scrive: “Abbiamo due grandi classi, gli esseri viventi... e i dispositivi. E fra i due, come terzo, i soggetti. Chiamo soggetto ciò che risulta dalla relazione... dal corpo a corpo tra i viventi e i dispositivi”.

Che ne abbiamo, allora, del corpo al corpo, dal carne a carne d'amore tra il vivente Pippo Delbono e il dispositivo rappresentato dal suo cellulare? Ferraris nota che il alcune lingue 'telefonino' si dice ormai con un'espressione equivalente a 'estensione della mano'. Tradotto in termini ontologici questo significherebbe che attraverso il telefonino noi coltiviamo l'illusione di avere in mano il mondo, mentre è esso che tiene in pugno noi. Si può qui sostenere che Delbono volentieri si fa tenere in pugno dal mondo, essere il suo corpo, la sua mano un'estensione vivente del dispositivo tecnico, se questo serve a far passare meglio il dramma d'amore e carne del mondo che vuole cogliere la sua immagine, la sua voce, la sua percezione partecipante e poetante.

Un'altra cosa sembra smentire questa opera di Delbono. Ferraris sostiene che, contrariamente a tutte le previsioni di Marshall McLuhan, anziché portare a un superamento della scrittura a favore dell'oralità, gli attuali dispositivi elettronici sono diventati un potenziamento vertiginoso della macchina da scrivere. Li usiamo infatti per registrare e inviare copiose “tracce” scritte di ogni genere.

Nel suo essere un “oltre genere”, il film “Amore Carne” svela un uso e un lasciarsi usare del dispositivo che è al contempo improvviso svelamento proprio di quella condizione d'amicizia umana originaria che è uno stare assieme, ravvicinati per percepire, intuire insieme più profondamente, sensibilmente ogni eco carnale e vibrazione impalpabile della realtà. Proprio quello che McLuhan chiama il “neo tribalismo elettronico”.