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Liberty Heights di Barry Levinson all’Alphaville di Roma per il ciclo “I capolavori sconosciuti” secondo Ugo G. Caruso

Martedi’ 29 ottobre al Cineclub Alphaville di Roma (v.del Pigneto, 283) per il 7° incontro del ciclo e’ in programma il personalissimo film diretto dal regista de il migliore nel 1999, un romanzo di formazione ambientato negli anni cinquanta che ha il respiro e la fragranza della grande letteratura ebraico-americana.

1954. Liberty Heights è il quartiere ebraico di Baltimora, dove vive la famiglia Kurtzman; madre casalinga, padre impresario di spogliarelli e lotterie clandestine, il figlio maggiore studente universitario e il minore studente liceale. La Seconda guerra mondiale è finita da nove anni ma, nella potenza economica e militare che ha determinato la sconfitta del nazismo, sono affissi nei club cittadini cartelli che vietano l’ingresso agli ebrei, ai cani e ai negri. È su questa forte contraddizione che Barry Levinson ha costruito il suo ultimo film, basato in gran parte su ricordi personali.  Lo sguardo privilegiato di questa storia è quello di Ben, il figlio minore che adora Sinatra e che solo al liceo scopre che il mondo è abitato in maggioranza da “gentili”. Ben s’innamora di una compagna di classe nera, ma presto si accorge che in quell’America vi sono barriere, di ceto e di razza, insormontabili. Amori, amicizie, destini familiari scorrono piacevolmente, descritti con un tono da commedia percorso da piccole ma profonde venature di amaro. Un “come eravamo” che rivela l’anima nera e intollerante degli Stati Uniti, accompagnato da una colonna sonora che sfodera il meglio di quegli anni, da Sinatra a James Brown.

«Com’è noto, Barry Levinson ha una filmografia cospicua ancorché discontinua in cui alterna film commerciali ad altri più personali. I primi servono di fatto a finanziare i secondi. Certi titoli sono davvero immemorabili, altri ce li ricordiamo, eccome! Ad esempio A cena con gli amici; Il migliore; Tin Men; Good Morning, Vietnam;Avalon; Bugsy. La sua vena migliore e più autobiografica ispira Liberty Heights(1999), con quella sapiente mistura di ironia e lirismo, denuncia e nostalgia, che gli conferiscono il ritmo, il respiro e la fragranza che ritroviamo soltanto in certi romanzi di formazione della grande letteratura ebraico-americana».

Ugo G. Caruso

«Raccontando le modifiche e le trasformazioni subite nel corso del film dai personaggi, Levinson ci propone una riflessioni scanzonata, semiseria che segue ritmicamente i toni e gli andamenti di ogni processo di maturazione, gli alti e i bassi, i momenti cupi e le situazioni gioiose che fanno parte della vita. Abituato a maneggiare i sentimenti e a raccontare storie dalle tinte forti (Il miglioreRain ManGood Morning, VietnamSleepers), Levinson evita di cadere nel banale ridicolizzando le situazioni rappresentate, i mitici “Fifties”, senza quindi eccedere nel nostalgico. Le circostanze più drammatiche sono osservate attraverso gli occhi di un ragazzino che trova sempre la forza di scherzare e ridere di sé e degli altri. Un’ironia “livellatrice” abolisce le differenze tra gli ebrei, i neri e l’”altra parte del mondo”, per promulgare un’utopica uguaglianza - concetto, allora come oggi, non così scontato e di difficile applicazione. Ad impreziosire il film una ricostruzione nei minimi dettagli dell’America di provincia degli anni Cinquanta, con scenografie particolarmente curate dove non mancano le mitiche Cadillac dai colori pastello, ancora oggi oggetto di culto […] Le immagini di Levinson sono accompagnate da una colonna sonora di classe che unisce - al di là delle divisioni razziali e di genere – Frank Sinatra e James Brown, Ray Charles e Bill Haley, Nat Kìng Cole e Elvis Presley e, al di là della storia, la voce profonda di Tom Waits. Non un film d’essai, non un film d’azione, non un film strettamente commerciale, poco difeso sul mercato distributivo italiano che ha fatto fatica a trovargli un’adeguata collocazione, Liberty Heights è passato in sordina pur essendo il film di un autore di tutto rispetto noto a livello internazionale per gli Oscar conquistati e per i numerosi film realizzati precedentemente».

Anna Di MartinoSegnocinema n. 106, novembre-dicembre 2000