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L'omicidio di JFK 50 anni dopo, analisi dell'attentato che cambiò la storia

La sindrome del grande complotto nel cinema liberal americano in un incontro a cura di Ugo G. Caruso all’Alphaville.

Martedì 19 alle ore 21 nei locali del cineclub romano (v. del Pigneto, 283) serata speciale per il cinquantenario dell’omicidio di John F. Kennedy aperta da una conversazione di Ugo G. Caruso sul tema “Il sogno infranto della Nuova Frontiera e la sindrome postkennedyana del grande complotto nel cinema americano degli anni sessanta e settanta”. Un ampio excursus nel corso del quale Caruso esaminerà film ed autori partendo da quanti anticiparono la tragedia di Dallas o ne rappresentarono gli scenari che l’avevano determinata (John Frankenheimer), per passare a quelli che metaforizzarono la paranoia collettiva seguita alla “perdita dell’innocenza” (Artur Penn, Arkin/Feiffer, Francis F. Coppola) e arrivare a quanti andando oltre le verità ufficiali, tentarono di ricostruire l’accaduto o vi ispirarono (David Miller, Stanley Kramer, Sidney Pollack). Un nervo ancora scoperto della Storia americana recente che percorre pure tutto il cinema contemporaneo (Brian De Palma, Oliver Stone etc.)A seguire verrà riproposto The Parallax View (in Italia “Perché un assassinio”) capolavoro di Alan J. Pakula del 1974 interpretato da Warren Beatty, un raffinato e avvincente thriller politico che suggerisce un’inquietante chiave di lettura dei fatti.

Sulla lunga distanza “Perché un assassinio” (The Parallax View) ci appare oggi come il miglior film di Alan J. Pakula, ancor più di “Klute” che lo rivelò al grosso pubblico nel 1971 e di Tutti gli uomini del Presidente che lo consacrò definitivamente nel 1976. Premiato al Festival del cinema fantastico di Avoriaz nel 1974, Perché un assassinio non ha mai avuto purtroppo alcunché di fantapolitico: ciò che a qualcuno poteva sembrare allora apocalittico, oggi è storia, seppure ancora controversa e non ufficiale. Ispirato alla teoria per la quale l’assassinio di John F. Kennedy, Lee Oswald sarebbe stato in realtà lo specchietto di copertura per più cecchini (come d’altronde in modo solo apparentemente più elementare Shiran Shiran nell’omicidio del fratello Robert Kennedy nel 1968), il film dimostra chiaramente nel clima serrato e angoscioso di un thriller politico avvincente come tutto ciò di cui siamo a conoscenza potrebbe essere effetto di una macchinazione così potente e capillare da cancellare qualsiasi traccia di sé.

A Seattle durante l’Indipendence Day il senatore Carroll viene ucciso mentre partecipa ad un party elettorale sullo Space Needle, l’ardita torre simbolo della città. Il presunto assassino fugge sui tetti inseguito da alcuni agenti ma perde l’equilibrio e cade nel vuoto. Mesi dopo in un’aula di tribunale i giudici chiudono il caso con una sentenza secondo cui l’attentato è opera di uno squilibrato che ha agito da solo e non di un complotto come avanzato da alcuni giornali. Tre anni più tardi Joe Frady un’intraprendente giornalista di provincia attratto dalle inchieste rischiose, riceve la visita di un collega, Lee Carter, con la quale aveva avuto una relazione sentimentale. Lee teme ora di essere uccisa al pari di altri testimoni di quanto accaduto quel giorno, tutti vittime di morti sospette. Frady non le crede e cerca di rassicurarla ma poco dopo di fronte al cadavere dell’amica apparentemente deceduta per abuso di barbiturici decide di vederci più chiaro. Attraverso un amico dell’FBI riceve una nuova identità dietro la quale inizia la sua indagine. Verrà così a scoprire dopo una serie di drammatiche traversie l’esistenza di un’organizzazione segreta, la Parallax, che recluta sbandati e fanatici per omicidi a sfondo politico. Mentre si allunga la catena di morti coinvolgendo tutti coloro che hanno contatti con Frady, questi, sempre sotto mentite spoglie, viene contattato per entratr a far parte della Parallax e dunque convocato per essere sottoposto ad un test di ammissione. Frady decide di infiltrarsi per fare luce sulla misteriosa organizzazione….

Tratto dal romanzo omonimo di Loren Singer, sceneggiato da David Giler e Lorenzo Sempke jr., il film di Pakula si situa al vertice nel filone dei film che hanno affrontato la paranoia collettiva postkennedyana di una grande cospirazione. Film eccezionale per l’uso della suspense, le tante invenzioni sonore e visive (cui contribuiscono in modo determinante la fotografia di Gordon Willis ed il soundtrack di Michael Small), l’uso espressionista delle scenografie, la direzione degli attori, a partire dalla performance di Warren Beatty, eroe perdente dal destino segnato, The Parallax View contamina magistralmente i moduli narrativi del giallo con quelli del film politico d’inchiesta, propendendo per una conclusione che segna la fine del sogno americano e di qualsiasi ottimismo retorico. Se la sequenza più memorabile resta certamente quella del filmato cui Frady assiste nella sede della Parallax che rimanda per certi versi a quella simile di Arancia Meccanica, la fine emblematica e kafkiana del film insinua in noi un persistente senso di inquietudine ed impotenza. A differenza infatti di altri pregevoli titoli dell’epoca, più espliciti e compiuti sul versante della denuncia, il film di Pakula, amaro, beffardo e disperato, vuole farci riflettere -a partire dal titolo che con metafora elegante ci ricorda come parallasse è lo spostamento di un oggetto quando lo si osserva da due differenti punti di vista- sul significato nascosto di ciò che noi vediamo e capiamo o di ciò che crediamo di vedere e di capire. E’ dunque anche un film incentrato sul rapporto intercorrente tra cinema e realtà su cui ci trasmette molti dubbi, lasciando volutamente la questione in sospeso.