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Omaggio a Gabo Marquez (Le magie di Melquiades e il realismo del frigorifero)

Omaggio a Gabo Marquez (Le magie di Melquiades e il realismo del frigorifero).

di Zap Mangusta

Dopo un esilio di 87 anni che lo ha costretto a vivere in un pianeta ridondante di ingiustizie soprusi e in una bellissima terra ma ricca di violenza, droga e ingiustizie, Gabo Garcia Marquez finalmente è ritornato nel suo mondo. Che non è del tutto il nostro.

Per ciò che mi riguarda, io l’ho conosciuto come tanti, nel 1975, attraverso le pagine del suo “Cien anos de soledad” (sono per metà latino-americano e dunque posso chiamarlo così.) Credo che il suo “100 di solitudine“ non si possa definire soltanto come “un libro” ma che possa assurgere ad una vera propria condizione dell’animo umano.

Quella di chi nonostante tutti i programmi scientifici e tutte le wikipedie si sforza di credere che il ghiaccio sia stato inventato, per magia, tanto tempo fa, dall’alchimista- medico-santone-fantasma-profeta Melquiades e non per profitto dagli industriali dei frigoriferi, per conservare i surgelati che si preparano frettolosamente per cena.

“Realismo magico” viene chiamato il genere delle sue opere, dalle persone senza troppa fantasia (o troppo essenziali e sintetiche). Ed è una definizione che non amo per niente. Anzi, che mi sta cordialmente sui cosiddetti. Per molti motivi. Chi può stabilire infatti quale sia il netto confine tra la conoscenza naturale e quella oltre-natura? Chiunque sia nato in Argentina, in India, in Spagna, come in Arabia Saudita e in chissà quanti altri paesi, sa bene che il sapore agrodolce di quei due mondi confinanti che qualcuno vorrebbe separati, si deposita invece sulle stesse papille gustative. Cos’è davvero realistico e cosa è magico, nella nostra breve vita? Come definireste ad esempio l’amore che pure condiziona, influenza e dirige gran parte dell’esistenza di ogni essere umano? Ed è “realismo magico” narrare di un luogo dove, in breve, tutti diventano immemori di ogni cosa? Non lo facciamo forse anche noi nei confronti di politici, artisti, patrioti e persino dei calciatori? Ed è anacronistico e irreale comportarsi come Melquiades, personaggio “fantastico” e improbabile che decide di vivere per anni, senza mai uscire dalla sua stanza? Se fossimo meno provinciali, sapremo che molti intellettuali sono rimasti “realmente” e deliberatamente consegnati nella propria stanza per anni, per non interrompere il flusso dei propri pensieri. Come Mishima, Aurobindo e persino il nostro Edmondo De Amicis che non erano certo personaggi di fantasia. E chi puà dire che Macondo, quella poetica cittadina della famiglia Buendìa, incastonata nella foresta colombiana su cui, nel libro, incombe la modernità del treno, del cinema e delle automobili, non assomigli a tante nostre piccole cittadine in cui il delicato rapporto tra natura ed essere umano è stato sconvolto dalle “meraviglie” dell’industria e della tecnologia? E dove l’eterno conflitto tra scienza e spiritualità si è risolto definitivamente a favore della prima, provocando una miriade di nuove domande a cui sono corrisposte altrettante fragili e poco convincenti risposte?

Amo davvero poco la definizione di “realismo magico” perché non è utilizzata col gusto di chi vuole coniare un bizzarro ossimoro ma perché intende essere ghettizzante (sinonimo di candore o di semplicità anacronistica, per non dire sempliciotta). E in particolare perché mi ricorda un episodio personale. Di quando 14 anni fa consegnai un mio “corposo” romanzo all’editor di una rinomata casa editrice, di cui non ricordo bene il nome (Oliviero mi sembra che fosse… ) un romanzo che si chiamava “La gente per bene prende l’autobus” e che lui tenne due mesi in lettura, prima di convocarmi e di chiedermi perché intendessi (anche) scrivere un romanzo (mi conosceva infatti come attore e regista di teatro) “Mi disse che il libro era scritto abbastanza bene (bontà sua..! ) ma che purtroppo ad un certo punto l’autobus si metteva a “parlare”. “Mentre come si sa, gli autoveicoli non devono farlo!” Proprio così, disse. Senza perdonare la mia licenza fantastica. “Nessun autobus parla…” mi ripeté tranchant ” Al punto che io, interdetto, che ritenevo, (sino allora) che un editor dovesse e potesse comprendere ogni “licenza narrativa”, gli risposi “ Mi spiace, devo essermi confuso…”, non ritenendolo degno di ulteriori spiegazioni, “Credevo di aver fatto parlare l’autista” dissi. “Anche io lo credevo.” mi rispose. “Ma invece era l’autobus! E come si sa, gli autobus non parlano. Nessuno di loro” Quindi mosso a compassione, vedendomi disorientato mi sussurrò che se avessi tagliato “quelle fatidiche 50 pagine (in cui l’autobus “parlava”) si sarebbe potuto anche trattare sulla pubblicazione. Gli dissi che ci avrei pensato su e mi feci riconsegnare il dattiloscritto.

Non pubblicai mai quel libro che custodisco ancora e che un giorno, forse, pubblicherò, per intero. Quel giorno lo dedicherò a Gabo Marquez. A cui peraltro ho già “intitolato” mio figlio (che si chiama per l’appunto Gabo). Quel giorno, almeno per me, il colonnello Aureliano Buendia (“che aveva fatto 32 guerre civili, perdendole tutte…”) ne vincerà una: la guerra della fantasia al potere.

Quando non avrà più importanza capire se le metafore che uno scrittore utilizza in un libro sono “vere per la fantasia ma simboliche per la realtà”. Ecco, quel giorno si parlerà semplicemente di storie, che possono piacere o no, ma che nel caso di Gabo M. sono state capaci di toccare il cuore di milioni di lettori, di rapirli e di trasportarli in mondi migliori del nostro, dando sapore ad ogni boccone e ad ogni semplice contorno di quel piatto. Anche a quelli che un sapore proprio non ce l’hanno. E su cui attualmente ci gettiamo avidi. E che ci fanno assomigliare a tanti piccoli cinghiali laureati in economia e in statistica che non fanno altro che parlare di euro, di mutui, di tasse e di sondaggi. Da quando si alzano a quando vanno a letto. E che sono talmente farciti di realismo che non riescono più a lasciarsi trasportare con leggerezza dalla fantasia. Nemmeno quando leggono.

P.S. A proposito, Gabo, so per certo che in questi tempi poco magici e molto densi di realtà, a dispetto di tutto. il tuo capolavoro tra poco schizzerà nuovamente in alto, nelle classifiche di tutto il mondo. E noi sappiamo che anche stavolta il merito sarà di Melquiades e di una delle sue molteplici invenzioni miracolose. Non è così, forse?

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