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L’Italia dei Blacks Out

di Aly Baba Faye
Sociologo – Esperto di migrazioni

Oggi in Italia l’immigrazione si sta rivelando sempre più come spia di una sorta di schizofrenia che connota la psicologia collettiva della società italiana. Da una parte il bel paese non può più fare a meno dell’immigrazione, dall’altra stenta ad accettare il fenomeno accettandolo fino in fondo. Si fomentano le paure con campagne allarmistiche nei confronti delle popolazioni immigrate. Persino il premier Silvio Berlusconi, dopo un Consiglio dei Ministri tenuto in Calabria sulla legalità a seguito dei fatti di Rosarno e della “deportazione dei neri”, non ha avuto scrupoli nell’affermare che “meno immigrati vuol dire meno criminali”. Un’affermazione grave e meschina che ricorda periodi cupi della storia dell’umanità e che crea violente tensioni nella convivenza civile. Al contempo, però, si affidano le cose di casa e la cura dei propri cari a persone immigrate. Sta tutta qui la narrazione dell’immigrazione nella società italiana. Ed è da qui che bisogna partire per comprendere l’idea di una “stretta sociale degli immigrati”.

Uso la formula stretta per riferirmi all’ipotesi di uno sciopero degli immigrati sulla scia di quel che avvenne in Chicago nel 2006 e sull’onda della proposta francese di uno sciopero il 1° marzo, data del varo del “Code des étrangers”, detta anche legge Sarkozy. In Italia, l’idea di una mobilitazione degli immigrati serpeggiava da un paio di anni. Ma al di là di quel che succede oltralpe, oggi sono le reali condizioni sociali e di vita, le ondate xenofobe, i rigurgiti razzisti, le molestie fisiche e psicologiche, frutto delle campagne di odio dei media e della politica, a giustificare l’entusiasmo che suscita l’idea di una mobilitazione delle popolazioni immigrate. Una volontà di “alzare la testa” per reagire contro le aggressioni e chiedere rispetto e dignità per sé e per il proprio valore sociale.

Ora sarà difficile organizzare uno sciopero degli immigrati com’è stato detto. Ci sono difficoltà organizzative che ineriscono alle tipologie di lavoro e al modello d’inserimento nel mercato del lavoro. Poi restano le valutazioni di opportunità di fare uno sciopero dei soli lavoratori immigrati. Perciò da più parti ci si sta orientando per promuovere una campagna coordinata denominata “Primavera antirazzista”: un contenitore per una serie di iniziative sul territorio per veicolare un messaggio di rispetto e di consapevolezza della comunanza di destino. E’ questo il nodo di fondo che ha consentito la maturazione di un bisogno di una stretta sociale, per riaffermare i principi di uguaglianza e di rispetto reciproco. Dunque alziamo la testa per chiedere rispetto e dignità attraverso un percorso di mobilitazione che culmini al 21 marzo giornata delle Nazioni Unite contro il razzismo. Insomma la speranza è che tutto questo diventi un’occasione per esaltare l’interdipendenza di interessi reciproci e la volontà di costruire una nuova comunità integrata per una nuova Primavera della società italiana.

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