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'The wicker man' all'Alphaville di Roma

Lunedi 2O maggio alle 21, per la serie i capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso, thriller britannico cult e maudit del 1973 inedito in Italia

Ecco come ce lo presenta il curatore della rassegna:

“Per il quarto incontro della serie I capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso in programma al Cineclub Alphaville (v. del Pigneto, 283) di Roma, ho pensato ad un film raro ed inedito in Italia, decisamente maudit a causa delle tante traversie distributive che gli sono valse le stimmate del film di culto tra i suoi tanti fan d’oltremanica.

Ho scoperto The wicker man grazie ad un vhs regalatomi da mio fratello Roberto che vive a Londra dalla metà degli anni ottanta e che non voleva credere che a dispetto dei tanti adoratori del genere horror il film fosse da noi del tutto ignoto. Ne rimasi subito affascinato e mi ricordai di averne visto a suo tempo qualche sequenza in un documentario della BBC sui film del terrore made in England. Consultai dunque alcuni repertori britannici per avere conferma che la fama del film era un’acquisizione recente al termine di lunghi travagli . E dire che la sua fortuna contorta e tardiva era iniziata proprio in Italia con la vittoria nel 1973 del primo premio al Festival della fantascienza di Trieste, per essere poi dimenticato non solo dai distributori ma anche dalla critica nostrana che nella sua stragrande maggioranza continua ad ignorarlo. The wicker man è certamente un film strano, insolito, inclassificabile, una sorta di unicum, a dispetto di quanti non possono fare a meno delle forzose etichettature. Scritto da uno sceneggiatore di fama, Anthony Shaffer, fratello di un drammaturgo ancora più noto, Peter (Equus, la sceneggiatura di Amadeus) e diretto da un regista di talento ma poco fortunato come Robin Hardy, interpretato da un cast bizzarro: Edward Woodward, star televisiva inglese, scelto solo dopo il rifiuto opposto da Michael Yorke e da David Hemmings, la sexy star svedese Britt Ekland, già moglie di Peter Sellers e interprete delle scene erotiche tagliate dalla censura, l’attrice australiana Diane Cilento, nota all’epoca per essere la moglie di Sean Connery, la polacca Ingrid Pitt, presenza fissa degli horror vampireschi della Hammer, Lindsay Kemp non ancora assurto alla fama di celebrato regista e coreografo e soprattutto Christopher Lee che desiderava fortemente fare questo film e che lo considera a tutt’ora il migliore della sua carriera, il film ha alimentato un culto tale da spingere ogni anno una quantità di suoi ammiratori nelle suggestive location di Summerisle, a riprodurne ,come in un rituale, l’incendiario finale. The wicker man di cui non proprio facilmente siamo riusciti a recuperare la director’s cut (che reintegra le sequenze di nudo di cui sopra, inesistenti nelle versioni commerciali) è tante cose insieme: horror psicologico o se preferite thriller antropologico-culturale , fiaba nera, apologo dal gusto surreale sulla relatività di concetti come “bene” e “male”, metafora del difficile rapporto tra la madre Inghilterra e le sue terre celtiche. Tra le tante curiosità relative al film, alle sue travagliate vicende produttive e distributive ce n’è una che lo accomuna ad un film coevo, Don’t look now (A Venezia un dicembre rosso schocking) di Nicolas Roeg, , anch’esso realizzato nel 1973 ed orrendamente scempiato dai distributori per riportarlo ad una durata compatibile con il doppio spettacolo previsto dai drive in. Incredibilmente fu abbinato proprio a The wicker man, finendo col costituire probabilmente il più formidabile doube bill nella storia del cinema! In quell’ormai lontano 1973 A Venezia un dicembre rosso schocking venne poi votato come il miglior film inglese dell’anno così come The wicker man rientrò tra i cento migliori film britannici di sempre. Il remake diretto nel 2006 da Neil LaBute, anodino e scombiccherato, ha contribuito a riportare l’attenzione sull’originale e a farne risaltare ulteriormente le qualità. Il suo maggiore pregio resta in quell’ atmosfera di spaesamento che circonda le indagini del protagonista, nella tensione latente che sembra voler esplodere da un momento all’altro e dunque nel finale crudele, beffardo e tragico che si compone in un macabro affresco. All’indubbia originalità espressiva il film unisce un indiscutibile valore di testimonianza dell’epoca in cui fu concepito, vale a dire gli anni settanta con le sue trasgressioni, riconoscibili nei riti orgiastici di marca druidica e nello spirito comunitario che lega fra loro gli abitanti dell’isola di Summerisle che rimanda ai figli dei fiori e alla pratica del libero amore”.

Ugo G. Caruso

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